Vincitori, vinti e astenuti del voto europeo

Non hanno l’attendibilità delle proiezioni. Ma se i sondaggi all’uscita dei seggi elettorali saranno confermati dai risultati reali, l’Europa guidata dall’alleanza Ursula (popolari, socialisti e liberali), avrebbe conservato la maggioranza tra i 27 Paesi andati alle urne. Ma, mentre scriviamo, ancora non si sa quale effetto politico potrà avere il radicale e consistente spostamento a destra che si registrerebbe nel voto in Francia, Germania, Austria e Belgio, sul possibile riconfermato equilibrio di governo europeo.

A Parigi il terremoto è già dirompente: Macron ha indetto elezioni anticipate.

Conferme e sorprese anche nel voto in Italia. Sia la maggioranza di centrodestra, sia le opposizioni di centrosinistra avrebbero complessivamente mantenuto e forse migliorato i consensi delle politiche. Ma cambierebbero i pesi all’interno dei due schieramenti.

Da una parte salirebbe Fratelli d’Italia, mentre Lega e Forza Italia si contenderebbero la seconda posizione. Dall’altra, balzerebbero in avanti il Pd e Verdi-sinistra, calerebbe il M5S, e sorpasso di Stati Uniti d’Europa (Renzi e Bonino) su Azione di Calenda.

Nell’attesa dei dati ufficiali anche sulle contestuali amministrative, una certezza c’è: il partito dell’astensione torna a essere di gran lunga quello più “votato” in Italia.

Eppure, eravamo il Paese con la più alta percentuale di votanti, addirittura l’85,7 degli aventi diritto nelle prime elezioni per Strasburgo del 1979.

Non un fuoco fatuo, se si ricorda che dieci anni dopo, nel giugno 1989, l’88,03% del corpo elettorale votava “sì” all’unico referendum consultivo promosso nella storia della Repubblica per conferire un mandato costituente agli eurodeputati nell’ambito di un’“effettiva Unione dotata di un governo responsabile di fronte al Parlamento”.

Di elezione in elezione tale fervore per una certa idea dell’Europa cominciò ad affievolirsi, come testimonia il tasso degli elettori diminuito di ben trenta punti in trent’anni: appena il 54,7% degli italiani andò alle urne nel 2019, con una progressiva tendenza al calo. Che diventa controtendenza rispetto agli altri Paesi europei, dove agli inizi le astensioni superavano la media del 50% ma poi, di tornata in tornata, la fiducia dei cittadini, specie di tedeschi, francesi e spagnoli, aumentava, e l’affluenza arrivava a superare quella dei delusi italiani.

Ma che è successo se, dai più euroentusiasti quali eravamo, siamo diventati tra i meno partecipativi?

Le ragioni del disimpegno sono molte, ma l’ultima è lapalissiana: la totale mancanza di una campagna elettorale “europea” alle nostre spalle.

Agli italiani i partiti hanno illustrato poco e male l’importanza oggi decisiva dell’Europa. Se non risulta chiaro l’oggetto del contendere, è difficile mobilitare un elettorato già poco motivato di suo ad andare alle urne per una politica giudicata troppo lontana fra Strasburgo e Bruxelles.

Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova