Con il viatico di Sergio Mattarella (“questa volta il tempo è stato breve, meno di un mese dalla data delle elezioni: buon lavoro al nuovo governo”), nasce il primo esecutivo della Repubblica guidato da una donna, Giorgia Meloni. Dopo 67 governi e 30 presidenti del Consiglio.
Ma non è soltanto un primato per la statistica, così come non lo è la novità politica che la donna incaricata dal Quirinale rappresenta un partito di destra, il più votato della coalizione vincitrice. E che, con il suo arrivo a Palazzo Chigi dopo quello di Ignazio La Russa alla presidenza del Senato, Fratelli d’Italia chiude il cerchio della lunga e incompiuta marcia di Gianfranco Fini per una destra pienamente integrata nelle istituzioni. Forse, ecco il terzo inedito, l’Italia diventa un Paese normale, con l’alternanza alla guida del Paese tra leader e partiti contrapposti su tutto, fuorché sul dovere di riconoscersi nella Costituzione e nel rispetto reciproco per le scelte degli italiani.
In realtà, quel che più colpisce, è che si vede e si sente la mano della Meloni nella squadra dei ministri, nel posto in cui sono stati collocati, perfino nelle nuove definizioni date a diversi dicasteri: dal ministero Famiglia “e Natalità”, a quello “del Mare” e Mezzogiorno, dalla “Sovranità alimentare” aggiunta all’Agricoltura, al “Made in Italy” accanto a Imprese, al “Merito” associato all’Istruzione. E’ un governo politico, dunque, pur con l’inserimento di tecnici. Ma è soprattutto il “governo della Meloni”, che ha scelto lei gli esponenti considerati migliori proposti dai suoi alleati e li ha messi nei posti dove voleva lei, e non dove loro richiedevano. Trovando l’importante confronto e conforto del Quirinale, che ha dedicato appena 11 minuti per consultare la delegazione di centrodestra e ha nominato la squadra della Meloni in fretta, perché incombe la sfida energetica, economica e internazionale.
E’ su questa sfida, e senza poter contare su Mario Draghi che lascia tra gli applausi europei portando a casa anche un primo accordo sul tetto al prezzo del gas, che l’esecutivo dalle variopinte ridefinizioni gioca la sua credibilità e la sua durata. Giorgia Meloni dovrà archiviare tutte le promesse elettorali irrealizzabili e concentrarsi sulle emergenze. Magari rifacendosi al “metodo Draghi” lasciato in eredità: serietà, competenza e determinazione nelle scelte da fare. E farle, non limitarsi ad annunciarle.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi