L’invocazione della pace è uguale per tutti. Ma non appena si discute sul come ottenerla nell’Ucraina martoriata da 8 mesi di guerra, le strade si dividono in due: fermare l’invio di armi a Kiev per non alimentare la guerra con la guerra, sperando in una “pace possibile”? Oppure continuare a farlo per aiutare chi difende la propria Nazione aggredita dall’esercito di Putin, perché solo chi resiste può trattare alla pari con l’aggressore non per una pace purchessia, ma per una “pace giusta”?
Del bivio tra pace possibile o pace giusta s’è avuta concreta testimonianza nelle due distinte e distanti manifestazioni di ieri, l’una a Roma, l’altra a Milano. Con l’opposizione di centrosinistra a sua volta spaccata sull’opportunità di partecipare alla prima o alla seconda: per non sbagliare, esponenti del Pd si sono visti in entrambe.
Fra i centomila marciatori nella capitale c’erano anche il leader del M5S, Giuseppe Conte, contrario all’invio di armi. E c’era il contestato (dalla piazza alcuni gli hanno pure dato del fascista) Enrico Letta, che da leader del Pd ha sempre appoggiato la politica del precedente governo Draghi a favore dell’aiuto anche armato all’Ucraina per difendersi.
Se a Roma “il popolo della pace” era accompagnato da molti vessilli arcobaleno e da associazioni diverse, pur tutte unite da un pacifismo di fondo e dalla consapevolezza che non si può essere equidistanti fra Putin e Zelensky, a Milano i promotori Calenda e Renzi -ma presenti anche Moratti e Cottarelli-, hanno rivendicato una scelta precisa all’insegna delle bandiere dell’Ucraina e dell’Europa: la resistenza e non la resa di Kiev. Pieno sostegno a Zelensky in sintonia con la linea dell’Unione europea che proprio l’italiano Draghi ha contribuito a determinare. E che ora l’esecutivo di Giorgia Meloni, alla vigilia del sesto provvedimento per continuare a sostenere gli ucraini, si appresta a confermare. “Ma prima il testo deve passare dalle Camere”, ammonisce Conte.
Dunque, la questione di come andare alla ricerca della diplomazia perduta, questione da tutti auspicata, è destinata a vivere fra le polemiche politiche, come lo scontro fra Conte e Calenda lascia presagire. “Non ho capito se la piazza di Milano è per la pace o per la guerra”, ironizza il primo. “Non c’è pace senza libertà, sarebbe asservimento”, gli risponde il secondo. Tutti parlano di pace nel dialogo fra sordi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi