Difficile stabilire quali siano le ore più drammatiche per un Paese che il dramma lo sta vivendo da mesi. Il dramma della fame per l’un tempo ricco Venezuela. Il dramma di un’emigrazione inarrestabile da una terra che è sempre stata speranza di immigrazione per i latinoamericani. Il dramma di un regime che ha violato ogni regola, represso ogni opposizione con la violenza, e che è stato da poco denunciato per crimini contro l’umanità dal Gruppo di Lima, a cui aderisce una dozzina di Paesi sudamericani.
Certo è che adesso il dramma diventa di conoscenza ancora più universale, dopo l’appello popolare alla “rivolta contro l’usurpatore” Nicolás Maduro lanciato da Juan Guaidó, riconosciuto come legittimo e transitorio presidente del Venezuela da gran parte dei Paesi del mondo libero in Europa e in America. Solo l’Italia non l’ha ancora fatto, non si sa se per l’ignavia o l’ignoranza politica della divisa maggioranza gialloverde. Che all’inizio della tragica degenerazione di questa crisi terribile si barcamenava, alla don Abbondio, tra il dittatore e il suo oppositore. Incurante anche della circostanza che quasi il dieci per cento della popolazione venezuelana è di origine italiana. E che da tempo la comunità italo-venezuelana sollecitava il governo a schierarsi allo stesso modo della Spagna, degli Stati Uniti e dei tanti Paesi democratici. Perché -incredibile a dirsi-, a Caracas sono in ballo la libertà e i più elementari diritti della persona.
Nel video dell’appello Guaidó è con Leopoldo López, altro storico oppositore agli arresti domiciliari e liberato dai militari. E sono soldati a circondare Guaidó, quasi a voler sottolineare che l’ultima trincea di Maduro si starebbe sgretolando: il controllo delle Forze Armate.
Ad esse Guaidó si rivolge (“el momento es ahora”, adesso è il momento) nel solco della Costituzione, della lotta non violenta e del sostegno internazionale -come lui ricorda e ripete-, per porre fine al regime. Chiede a loro e a tutti di scendere in piazza.
Ma la reazione non si fa attendere: Maduro manda i blindati contro i manifestanti anti-governativi e parla di tentativo di golpe. ¡Venceremos!, proclama con l’immancabile retorica castrista.
I primi commenti delle cancellerie, compresa la nostra, sono simili: si auspica un’”uscita pacifica” e “libere elezioni”. Ma a Caracas già si contano decine di feriti, nel giorno più lungo della sua lunga tragedia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi