Prima lo fanno salire sul palco e poi si dissociano da quello dice.
Il caso-Fedez rispecchia al meglio l’edizione numero 73 di Sanremo “che è Sanremo”, come ricorda il suo motto celebrativo, ma anche il principale festival della canzone italiana nel mondo.
Dovrebbe lanciare il Modugno, l’Eros, la Giorgia -nel senso di artista, non di presidente del Consiglio- di domani. Invece ci troviamo alle prese con un giovanotto, il marito di Chiara Ferragni, che attacca la ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, ed esibisce, strappandola, una vecchia foto del viceministro delle Infrastrutture, Galeazzo Bignami, vestito da nazista. Ritratto imbarazzante anche come goliardata: così l’interessato tentò di spiegarla e di chiedere scusa già a suo tempo.
Ma chi cercasse torti e ragioni filosofico-ideologiche in un evento che vive di provocazioni, rischia di stonare nel coro. Un coro in cui Roberto Benigni, un numero uno e premio Oscar di cinema e cultura, si improvvisa docente di diritto costituzionale. E la co-conduttrice per una serata Paola Egonu, la miglior schiacciatrice della pallavolo, ci racconta che l’Italia è un Paese razzista, o anche no. Eppure, nessuno meglio di lei, nata a Cittadella da genitori nigeriani e campionessa azzurra, incarna il bell’esempio dei figli di stranieri nati o cresciuti qui e cittadini a pieno titolo, e italianissimi.
Non sarà un caso, allora, se il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, forse l’unico che avrebbe il diritto di parlare di politica e istituzioni con cognizione di causa e rispettato da tutti, se ne stava zitto e sornione in poltrona il giorno dell’esordio. Sa che a Sanremo tutto si può, fuorché prendere per oro colato le bizzarrie degli artisti o trasformarne le polemiche in trattati sull’etica: al massimo si discute di estetica.
E poi lo zero virgola, in più o in meno, degli ascolti, ecco la bussola che spinge gli organizzatori a fare della musica e delle sfide, specie contro i governi in carica, un’insalata russa (o ucraina, visto l’annunciato messaggio anche del presidente Zelensky, peraltro già anticipato da Fiorello: “Per ripagarvi del vostro aiuto, vi libereremo da Amadeus”).
Per forza, allora, i dirigenti Rai si dissociano e precisano d’aver chiesto agli artisti -non per censurarli, “ma per opportunità”-, di limitarsi a fare gli artisti. Che è come dire a un bambino di non mangiare la caramella.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi