L’avviso è arrivato con un secco sms dell’Inps, secondo la gelida, ma inevitabile comunicazione digitale del nostro tempo, che ha cancellato quel minimo di sensibilità e di educazione che i cittadini amerebbero avere dalle loro istituzioni, specie quando ricevono brutte notizie.
Anche per questo, per la forma che è sostanza, alcuni nuclei familiari dei 169 mila destinatari della sospensione del reddito di cittadinanza annunciata dall’Inps a partire da oggi, hanno inscenato una protesta a Napoli. Città e provincia che, con Roma e Palermo, rappresenta il vertice nella classifica geografica del sussidio di Stato. Che allo scorso giugno risultava percepito da poco più di un milione di famiglie in Italia.
Com’è noto, questo sostegno pubblico, che si rivelò controverso fin da quando fu introdotto come misura-bandiera del M5S dal primo governo-Conte nel 2019, è stato cambiato dall’esecutivo-Meloni. Anche nella denominazione con due nuove misure: il “supporto per la formazione e il lavoro” (da settembre) e l’“assegno di inclusione” da gennaio del 2024.
Non dunque, abolito, il reddito di cittadinanza, ma reso più rigoroso, ossia con criteri più stringenti per ottenerlo. Le famiglie con disabili, minori o persone sopra i 65 anni con Isee di 9.360 euro e una situazione economica in difficoltà secondo una serie di parametri, continueranno a essere aiutate.
Ma i soldi ricevuti potranno essere usati solo per spese di necessità e per un periodo di 18 mesi rinnovabili in altri 12.
Cambia pure il criterio sull’offerta di lavoro che, se rifiutata, farà perdere il sussidio. Un’offerta, però, che dovrà essere “congrua” ed entro un limite territoriale di residenza.
Strada facendo, si vedrà se questa nuova versione del reddito di cittadinanza, potrà raggiungere il suo obiettivo sociale. Tuttavia, l’intento evidente è quello di salvare il principio di sostenere chi non ha lavoro o non può lavorare, di prospettargli almeno un’opzione, di non abbandonarlo, se con familiari in gravi condizioni. Ma anche di porre fine allo scandalo delle truffe scoperte e pagate dai contribuenti (centinaia di milioni) e di far cessare una strategia almeno in parte assistenzialista, che non ha prodotto grandi stimoli, né importanti opportunità di lavoro.
Il cambiamento in arrivo sta incontrando i soliti ostacoli burocratici che neanche l’era digitale riesce a risolvere, e che i Comuni, senza dati, servizi sociali e risorse, già denunciano. Un caos sul quale il governo farebbe bene a intervenire, come chiedono le opposizioni sul piede di guerra.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi