Se la vicenda non riguardasse il destino di 42 poveri innocenti e il diritto di una Repubblica sovrana e democratica di stabilire come far valere le sue leggi, il caso Sea-Watch sarebbe surreale.
Si parte dal comico attacco di Francia, Germania e Lussemburgo, che se la prendono con l’Italia per la politica sul Mediterraneo. Come se da quelle parti (ma esse sono in buona compagnia: tutto il resto dell’Unione europea), vantassero l’abitudine dei porti aperti, dell’accoglienza universale, dei confini spalancati, anziché dei muri sempre più innalzati. O degli inseguimenti polizieschi dei migranti sul territorio di un altro Paese, secondo lo sperimentato stile francese.
Poi il viaggio della Sea-Watch attraversa lo stravagante saliscendi di alcuni deputati del Pd sulla nave della discordia. E’ la protesta contro il comportamento del governo e del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Immemori, i Graziano Delrio e Matteo Orfini, cioè i parlamentari all’arrembaggio, che a inaugurare una strategia rigorosa sull’immigrazione fu un predecessore di Salvini, Marco Minniti. E Minniti apparteneva proprio al loro stesso Partito democratico.
Infine, dal largo della Libia a quello della Sicilia s’arriva alla “capitana”, come già i suoi fan hanno ribattezzato Carola Rackete. E’ la giovane tedesca alla guida di un’imbarcazione che ha il compito, nobilissimo, di salvare vite. Ma che sembra essersi trasformata all’improvviso in un vascello alla Sandokan contro il nemico italiano all’orizzonte. Violando consapevolmente gli ordini delle istituzioni della nazione europea che più s’è impegnata in tutti questi anni per gli immigrati in balia dei barconi e dei criminali scafisti. Ed entrando, la capitana, nel porto di Lampedusa dopo aver anche speronato una motovedetta della Guardia di Finanza. Un atto così grave, che lei per prima ha chiesto poi scusa ai finanzieri, mentre veniva arrestata tra vergognosi insulti di un gruppo di persone presenti allo sbarco. Arresti domiciliari, in attesa di capire quale sarà la sua sorte giudiziaria per gli atti di resistenza contro una nave di guerra nazionale e il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui sarebbe, al momento, accusata.
Ma, alla fine della storia che non è finita, sono solo due le cose che contano: consentire ai 42 innocenti di ricostruirsi una vita in Europa. E far rispettare la legge in Italia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi