C’è solo un errore da non commettere contro l’orrore appena vissuto a Parigi: quello di non saper più distinguere. Come se anche le nostre coscienze, oltre che i nostri cuori, si fossero annebbiate dopo i brutali omicidi (diciassette morti) in Francia. Invece bisogna distinguere non solo tra la libertà di una matita, che evoca il senso critico della vita, e la raffica di un kalashnikov, che invoca soltanto morte. Bisogna saper distinguere anche tra una massa di musulmani che nulla ha da spartire con la violenza e i gruppi di terroristi che in nome di Allah sono pronti ad ammazzare e a farsi ammazzare, scambiando per martirio ogni loro strage di innocenti. Una folle eresia di sangue.
Saper distinguere significa non avere paura di avere coraggio. E infatti, e finalmente, la prima distinzione la stanno facendo gli stessi credenti nell’Islam, che in diverse parti del mondo, Italia compresa, espongono cartelli col semplice, ma chiaro “non in mio nome”. Non in nome del loro Dio qualcuno può arrogarsi il diritto di uccidere. Saper distinguere, vuol dire capire che c’è una differenza grande come il mare che spesso li divora tra i barconi della disperazione in rotta sul Mediterraneo dall’Africa, e zeppi di musulmani indifesi, e gli arrivi, spesati e magari con voli in classe Magnifica, di fanatici che le forze di polizia e la magistratura di tutta Europa hanno il dovere di colpire con implacabile durezza. Distinguere, dunque e soprattutto, tra il buon musulmano della porta accanto -ciascuno di noi ne conosce almeno uno-, che non ha le nostre abitudini, nemmeno culinarie. Che magari fatica ancora a parlare la nostra bella lingua. Che forse troppo poco “si apre” verso il modo di vivere occidentale. Ma che mai si metterebbe un cappuccio nero in testa per aprire il fuoco contro i suoi simili del vicinato, qualunque fosse la religione, certamente diversa, da essi professata. O non professata alcuna. Guai se i nostri pensieri e le nostre emozioni, tanto colpite in queste ore drammatiche, accettassero per un momento il sospetto che “milioni di islamici sono pronti a sgozzarci”, e che il pericolo incombente potrebbe addirittura annidarsi “anche sui pianerottoli di casa nostra”, come paventa il leader della Lega, Matteo Salvini. Saper distinguere è la sola arma invincibile contro il fanatismo al tritolo, perché impone a tutti il compito di spiegare e di spiegarsi. Di raccontare l’identità d’origine e di ascoltare l’identità d’approccio, ossia di integrarsi. Di condividere, per chi crede, la diversità delle fedi, perché è la libertà che rende Dio più forte e le religioni trincee di pace. Distinguere, nel momento in cui tutto sembra confondersi, pur essendo tutto così tragicamente chiaro.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi