Se la principale democrazia del pianeta non riesce più a decidere, nonostante il pur incisivo sistema presidenziale di cui disponga, il problema non è più solo americano. Non lo è neanche nel merito della questione in ballo: il pacchetto di aiuti (60 miliardi di dollari) che gli Stati Uniti avevano assicurato all’Ucraina per difendersi dall’aggressione di Putin.
Joe Biden, il presidente, vuole mantenere l’impegno, e il Senato, a maggioranza del suo stesso partito democratico, ha appena dato il via libera. Ma alla Camera dei rappresentanti, che è in mano ai repubblicani, il promesso sostegno a Kiev rischia il blocco: i paladini di Donald Trump hanno anticipato che non intendono esaminare il provvedimento nella sua attuale formulazione.
E così il braccio di ferro continua, con l’aggravante che non si tratta di un tema irrilevante, bensì dell’appoggio che l’intero e libero Occidente ha decretato da due anni a favore di chi, nel cuore dell’Europa, difende la sua Patria al costo della vita.
Né si può dire che siamo in presenza di uno scontro etico o filosofico su grandi principi: semplicemente i repubblicani guardano al cortile di casa, cioè al per loro più urgente problema dei migranti al confine col Messico. E puntano, se non a uno scambio politico delle priorità con Biden (tu Ucraina, io Messico), comunque a disinteressarsi della guerra di Putin, che Trump ha affermato non ci sarebbe mai stata, se lui fosse stato ancora alla guida degli Usa.
Ma, processi permettendo, l’ipotesi di un ritorno del leader repubblicano alla Casa Bianca, col voto di novembre, è tutt’altro che peregrina.
Eppure, salvo sorprese elettorali per il contestuale rinnovo di buona parte del Congresso, anche il Trump presidente rischierebbe di ritrovarsi lo schema del presidente Biden: una Camera alta dominata dagli uni e quella bassa dagli altri. L’impossibilità di decidere, e di farlo presto, ecco il grande interrogativo che assilla le democrazie. A differenza dei regimi illiberali, che invece consentono a Putin in Russia o a Xi Jinping in Cina di decidere in quattro e quattr’otto persino di invadere un altro Paese, nel caso del primo. Oppure di minacciare di farlo, nel caso del secondo con Taiwan. Come agire in fretta per non lasciare il campo libero ai dittatori, questo è il problema dei governi democratici.
Se neppure l’America pare in grado di compiere una scelta e di attuarla con rapidità, nell’Unione europea l’indecisione bisogna moltiplicarla per 27. Tanti Paesi e nessuna sintesi istituzionale in politica estera e di difesa.
E’ già un miracolo che l’Ue si sia schierata all’unisono per l’Ucraina, e che tale scelta sia stata riaffermata con coerenza, sia pure col malumore dell’ungherese Orbán e di parti trasversali e fragorose delle opinioni pubbliche nel continente.
Il miracolo europeo farebbe tanto comodo alla più potente, ma oggi impotente nazione del mondo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova