Nessuno pretese mai un esame di italianità per Umberto Bossi, quando il leader della Lega Nord allora per l’indipendenza della Padania -così si chiamava-, invitò una signora che a Venezia esponeva un Tricolore alla finestra in segno di sfida a “metterlo al cesso”. Più altre inqualificabili espressioni. Correva l’anno 1997.
Incriminato per vilipendo alla bandiera, il legislatore pensò bene, nel frattempo, di convertire la punizione del reato in sanzione pecuniaria alla stregua di una marachella (ma escludendo il buffetto sulla guancia). E comunque Bossi, detto “il senatùr”, poté diventare ministro di quella Repubblica il cui massimo emblema aveva pubblicamente oltraggiato.
Tale premessa da amarcord era necessaria per sottolineare quanto una certa e trasversale cultura -“cultura” si fa per dire-, ricorra ai due pesi e alle due misure: buonista e servile con i potenti prepotenti, cattivissima e inquisitoria con chi, persona come tante, non commette reati né offende i simboli e i sentimenti della nostra identità.
Adesso quella prova di italianità che non fu richiesta al dichiarato principe delle ingiurie in materia (prima che la Lega archiviasse, come ha fatto da tempo, la fasulla Padania), la si esige da un ragazzo di 22 anni che non fa politica. Che non insulta nessuno. Che non viola alcuna legge. Che è cresciuto a Sesto Pusteria prima di salpare verso il mondo.
Già il nome -“Jannik Sinner”- suscita sospetto fra gli scatenati trogloditi dei social. Se poi il giovanotto, che è il più forte tennista d’Italia e numero uno anche nella classifica del mondo, non va all’Olimpiade di Parigi perché colpito da una tonsillite, ecco che il trogloditismo digitale s’infervora e lo reclama all’esame di maturità. “Non sente la maglia Azzurra”, “è un austriaco che parla italiano”, “pensa solo ai fatti suoi” e molte altre corbellerie a raffica in questi giorni su internet. Che è il luogo della più importante rivoluzione nella moderna comunicazione e, allo stesso tempo, si trasforma in fogna per chi dà sfogo alla spesso anonima viltà dell’odiare per il gusto proibito di odiare.
A tali frustrati che hanno scoperto l’italianità per caso, per sbaglio e con l’unico intento di ferire chi non odia come loro, bisogna ricordare tre cose (e poi ignorarli per sempre).
Primo: è inviolabile diritto di un ragazzo, oltretutto dall’irreprensibile comportamento in campo e fuori, non partecipare a un’Olimpiade a cui pur aspirava di cuore, se i medici gli consigliano di non farlo.
Secondo: si ha il dovere morale di credere alla sua parola, perché Jannik avrà molti difetti e debolezze (neppure i robot, e sono robot, risultano perfetti), ma non dà certo l’idea d’essere un bugiardo. E perciò, se la sua parola vale, e vale, e ci spiega che la rinuncia all’Olimpiade è dipesa dalla tonsillite e dai medici, nonostante e contro la sua volontà, non c’è dietrologia che tenga. Né trame di sue diaboliche manovre da scoprire.
Terzo: se l’Italia ha riportato la Coppa Davis in Patria dopo 47 anni, il contributo decisivo è stato di Jannik Sinner, che in semifinale ha battuto l’imbattibile Novak Djokovic sia in singolo che in doppio. Un’epopea.
Lui l’italianità se l’è caricata sulle spalle e sul campo, non a chiacchiere.
Con la maglia Azzurra, e orgoglioso di indossarla -e noi di vedergliela indosso-, ha contribuito alla felicità italiana come nessun tennista prima di lui per quasi mezzo secolo. Ed è successo ieri, mese di novembre 2023.
Quando gli storici di domani racconteranno di questo tempo in cui l’amor d’Italia veniva giudicato da odiatori di tastiera, e a una leggenda vivente si rimproverava di non apparire ciò che in realtà aveva già dimostrato d’essere -un grande campione italiano e universale-, forse arriveranno pure a un’altra conclusione riferita al solo Alto Adige. La seguente.
Senza rendersene conto, e senza che ce ne rendiamo conto, lo sportivo Jannik Sinner ha fatto e sta facendo molto di più per far sentire l’Italia vicina e sorella agli altoatesini di lingua tedesca, e il Südtirol vicino e fraterno al resto d’Italia, di quanto abbiano detto, scritto e persino firmato politici del calibro di Alcide De Gasperi e Karl Gruber nel lontano 1946.
Senza saperlo, il ragazzo con la faccia da cartone animato ha generato una generale simpatia tra l’Alto Adige e il resto d’Italia che mai s’era percepita, così forte, così genuina, così bella per chi crede nei ponti che uniscono con levità, ma in profondità. Tra acque inconfondibilmente Azzurre.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige