Quando Silvio Berlusconi “discese in campo” il 27 marzo 1994, il suo partito, che si chiamava “Forza Italia” riecheggiando l’incitamento per gli Azzurri, era nato da tre mesi nel deserto della prima Repubblica.
L’intero pentapartito, dalla Dc al Pli, era crollato e “la gioiosa macchina da guerra”, come Achille Occhetto definiva il suo Pds, si preparava a vincere.
Ma quell’imprenditore lombardo ricco e ricco di sé, che aveva costruito Milano 2 e Milano 3 negli anni in cui rompeva il monopolio pubblico della Rai col suo impero di tv private e commerciali, mise insieme i nazionalisti del Msi e i federalisti della Lega per finire lui -per la prima delle quattro volte-, a Palazzo Chigi. E spegnere, così, i sogni di una sinistra sempre forte, ma minoritaria nel Paese: come da consolidata tradizione italiana.
Basta questa circostanza per comprendere il perché dell’elogio politico collettivo, trent’anni dopo: il Cavaliere fondò un mai esistito centrodestra in Italia, per dar voce al vuoto dei cittadini “non di sinistra”, cioè la maggioranza degli elettori. Ma così facendo, inventò il bipolarismo, ossia l’alternanza di governo fra centrodestra e centrosinistra.
Si deve a Berlusconi se poi è arrivato Prodi e se nelle Regioni e nei Comuni di tutta Italia gli elettori si sono abituati a confermare o cambiare voto con una naturalezza europea mai prima sperimentata.
Dunque, colui che è stato a lungo il massimo rappresentante di un ceto medio “conservatore”, in realtà fu un innovatore in politica non meno che un anticipatore nelle sue imprese e pure nello sport: Berlusconi è stato il presidente più vincente nella storia del Milan “e di tutti gli altri presidenti nel mondo”, come lui amava sottolineare con un’immodestia esibita.
Se il fondatore e leader di Forza Italia è stato tanto votato, e a lungo, da una parte rilevante del Paese, è perché ne rispecchiava l’identità e la popolarità. Era un ribelle contro la politica, pur incarnandola. Un intenditore di calcio, come i 60 milioni di italiani che si sentono allenatori. Un costruttore di modernità e libertà, per un popolo individualista e sostenitore delle regole per gli altri, un po’ meno per se stessi.
“E’ stato un grande leader politico, che ha segnato la storia della nostra Repubblica”, secondo le parole del capo dello Stato, Sergio Mattarella.
Toccherà ora alla Storia giudicare torti e ragioni di un personaggio così unico e così uguale a tanti italiani.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi