Per la politica si chiude il caso-Siri, ma si riapre la questione-giustizia. Con grande soddisfazione dei Cinque Stelle e forte irritazione dei leghisti, il presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, ha rimosso il sottosegretario Armando Siri dal suo incarico, evitando però di andare alla conta dei ministri favorevoli e contrari a tale decisione. Cosa che avrebbe causato uno scontro all’interno della maggioranza gialloverde dalle imprevedibili, ma distruttive conseguenze. E’ vero che il braccio di ferro sulla permanenza al governo del sottosegretario leghista indagato per corruzione è durato a lungo nel Consiglio dei Ministri convocato per discuterlo. Ma, ottenuto lo scalpo della vittoria, Luigi Di Maio cerca di ricucire con il furente e sconfitto alleato, Matteo Salvini, tendendogli la mano sulla necessità di rilanciare il tema della tassa piatta molto caro alla Lega. Salvini non rinuncia ad accusare i pentastellati d’aver applicato la logica dei due pesi e delle due misure, ricordando che i processi si fanno in tribunale e non a Palazzo Chigi. E che di Virginia Raggi, indagata per altre vicende, nessuno del suo partito ne ha preteso le dimissioni. Tant’è che continua a fare il sindaco di Roma. Ma proprio mentre Salvini lancia il suo j’accuse contro i Cinque Stelle, arriva la notizia di un’altra indagine, stavolta per abuso d’ufficio, che vede tirato in ballo il governatore leghista della Lombardia Attilio Fontana il quale, rivendicando la sua onestà, si dice sereno e risponderà su tutto. E’ una reazione non dissimile a quella del sottosegretario Siri e spesso dei politici d’ogni colore quando essi sono indagati dalla magistratura.
In realtà lo scontro che si ripropone fra giustizia e politica a meno di tre settimane dalle elezioni europee è la riedizione di un copione che va avanti ormai da quasi trent’anni, in particolare dall’inchiesta Mani Pulite (1992) in poi. Nel corso del tempo cambiano gli interpreti della politica e della magistratura, ma il conflitto resta tale e quale. I politici accusano le toghe di protagonismo, le toghe ricordano l’obbligatorietà dell’azione penale prevista dalla legge di fronte a possibili reati. Ma c’è poco da fare: ciascuno resta ancorato alle proprie irremovibili convinzioni come se si trattasse di una battaglia tra giustizialismo e garantismo all’insegna di una politicizzazione strisciante. E’ l’eterno ritorno del conflitto insanabile tra giustizia e politica.
Anche al tempo del “governo del cambiamento”.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi