Sette ragazze della nostra meglio gioventù sono morte in Spagna (con altre sei coetanee europee), perché l’autista del pullman nel quale viaggiavano s’è addormentato: come si fa a consolare il dolore dei familiari e degli amici per un modo così assurdo di perdere la vita, quando la vita è nel fiore dei sogni più belli e più grandi? Qual è il Dio che bisogna pregare per chiedere “perché”, perché proprio loro, innocenti e brave studentesse? In poche ore abbiamo imparato a conoscere quei volti pieni di luce e dai tanti nomi italiani -Francesca, Valentina, Elena, Lucrezia, Serena e due Elisa- accomunati dalla voglia di conoscere il mondo. Dal desiderio di fare nuovi incontri. Dalla volontà di perfezionare i propri studi in quest’Europa a volte così indifferente e oggi così amara.
Ma neanche la fatalità del destino, neppure la discutibile circostanza di autobus che trasportano giovani in ore notturne che dovrebbero essere di riposo per tutti, nulla, insomma, deve farci cambiare idea sul senso del viaggio delle nostre sette “figlie” -come l’Italia intera ormai le considera-, finito all’alba su un’autostrada macchiata di sangue. Era giusto, certo, che le ragazze e i loro genitori credessero nel progetto Erasmus. Ed è giusto continuare a credervi. Nessun incidente d’auto -di più: neppure un attacco di terrorismo, come accadde il 13 novembre scorso a Parigi con l’omicidio della giovane ricercatrice Valeria Solesin-, nessun evento di “normale” quotidianità o di imprevedibile criminalità può rimettere in discussione l’idea che l’Europa si costruisce scoprendola da vicino. L’Erasmus viene prima dell’euro, della Champions, dei vertici politici, perché con i suoi tre milioni e mezzo di ragazzi, e soprattutto ragazze che in trent’anni l’hanno frequentato, forma le classi dirigenti di domani. L’Erasmus è insieme una grande scuola di studi senza frontiere e una grande scuola di vita: s’impara l’importanza dello stare insieme, di parlarsi in tante lingue senza il pericolo di fraintendersi, di trovare amori, amici e persone di valore anche nell’angolo più remoto d’Europa (e del Mediterraneo, per i numerosi ragazzi stranieri che scelgono l’Italia). Quel progetto è l’investimento migliore che gli europei si siano inventati. Non a caso sono italiani il dieci per cento degli studenti-Erasmus, come le nostre sette e sfortunate figlie. Erano solo ventenni, ma già l’avevano capito: la conoscenza migliorerà il mondo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi