Sempre meno italiani in Italia. Impietoso il rapporto dell’Istat sul censimento della popolazione residente al 31 dicembre 2020: risultano 59.236.213 cittadini, cioè un calo dello 0,7% (poco più di 405 mila persone) rispetto all’anno precedente. Che a sua volta era già in discesa in confronto al 2018 e così via, secondo un ciclo all’indietro del tutto innaturale che da troppo tempo vede più decessi che nascite. Come confermato dalla media di 1,2 figli per coppia, dato anch’esso inferiore al numero 2, il solo che assicuri la continuità generazionale.
L’Italia si presenta, così, con un bambino sotto i 6 anni per ogni cinque persone sopra i 65 e con un’età media di 45,4 anni. Neppure i 5.171.894 stranieri censiti contribuiscono a cambiare una tendenza tanto negativa quanto denunciata, invano, da demografi, economisti, associazioni di famiglie e chiunque abbia a cuore il destino nostro e dei nostri figli. Perché se il Paese nell’anno in cui è esplosa la pandemia si ritrova come al tempo dell’influenza spagnola dopo la Grande Guerra, ossia con la crisi di denatalità più grave della sua storia, è evidente che il fenomeno decadente dovrebbe rappresentare la priorità assoluta del governo e del Parlamento. Tanto più che la previsione s’incrocia con un’altra prospettiva inevitabile, e pur causata, stavolta, dal positivo aumento dell’aspettativa di vita: i giovani di oggi rischiano di dover lavorare fino a 71 anni (dati Ocse). Malinconico paradosso: l’Italia risulta la nazione con la futura età pensionabile fra le più alte d’Europa e, allo stesso tempo, con le culle più vuote. Una situazione allarmante non solo per la previdenza, ma anche per la sanità e per le nuove, grandi occasioni in arrivo con il Pnrr, il piano nazionale di rilancio. Ma, stando così le cose, ogni investimento dovrebbe essere teso anche ad accompagnare la natalità, che è sviluppo imprescindibile. Offrire ai nostri figli almeno le stesse opportunità ricevute dai nostri padri. E’ il senso della vita.
Un Paese senza passeggini è un Paese più povero da ogni punto di vista. L’emergenza demografica impone alla politica di intervenire subito per garantire con ogni misura possibile e pensabile il ricambio tra giovani e vecchi, la parità tra uomini e donne nel lavoro e una rete di riequilibrio sociale, cominciando dagli asili-nido ovunque.
Altri Paesi l’hanno fatto e crescono. Non servono miracoli, ma solo lungimiranza per ridare agli italiani speranza nel futuro.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi