Le sentenze non si commentano: si rispettano. Ma la notizia della Corte d’Assise di Brescia che ha assolto un uomo, ottantenne, perché incapace di intendere e di volere a causa di un totale vizio di mente per un “delirio di gelosia” nel momento in cui uccideva un anno fa (e poi vegliava) la moglie di vent’anni più giovane, lascia senza parole. E non per l’impossibilità di esprimersi su atti e fatti che solo i magistrati chiamati a giudicare possono conoscere nel dettaglio.
Il cittadino digiuno di leggi e di processi, ma non privo di buonsenso, si chiede come sia possibile punire col niente un delitto tanto grave. Si chiede se una accertata incapacità nel comprendere il male che si sta compiendo -perché questo emergerebbe dalla vicenda-, possa arrivare fino al punto da non inchiodare l’omicida alle sue responsabilità con una pena minimamente adeguata all’uccisione di una donna. Si chiedono, le persone non aduse ai codici, alle perizie, ai dibattimenti che sono fatti proprio per chiarire le cose oltre ogni ragionevole dubbio, se davvero la morte di una donna accoltellata, e nel caso specifico moglie dell’omicida, valga così poco nella bilancia degli equilibri della giustizia. Al di là delle norme, dell’ordinamento, della non imputabilità dell’omicida: è giustizia, questa?
L’interrogativo non è poi così peregrino, se a porselo apertamente sono anche legislatori, a cominciare da Monica Cirinnà del Pd. Senza entrare nel merito delle motivazioni ancora sconosciute della sentenza, la senatrice dice di “non poter tacere”. “Questo femminicidio non è stato riconosciuto come tale”, sottolinea. “Un marito in preda alla gelosia può uccidere la moglie senza essere condannato all’ergastolo”. Ergastolo era la richiesta della pubblica accusa.
Chi contesta il verdetto, ricorda una precedente sentenza di un’altra Corte d’assise d’appello, a Bologna che, per “soverchiante tempesta emotiva e passionale”, aveva dimezzato la pena all’uomo che aveva strangolato la donna con cui aveva una relazione. La Cassazione poi ordinò un nuovo processo che si concluse con 30 anni per l’omicida.
Forse è ora che il legislatore rimetta mano alla materia, perché alla fine i magistrati applicano le leggi. E se da anni le leggi tutelano più gli imputati delle vittime, non solo nei femminicidi, lo sconcerto non verrà mai meno. Servono leggi più rigorose e al passo con le esigenze del nostro tempo per evitare tempeste emotive e gelosie deliranti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi