Sette anni e un’invasione dopo, forse Matteo Salvini non ha ancora capito dove va l’Europa. Altrimenti, avrebbe un atteggiamento almeno prudente, ogniqualvolta pronuncia la parola “Russia”.
Certo, il leader della Lega ma oggi, soprattutto, vicepresidente del Consiglio, non ha più indossato la maglietta con la faccia di Putin, come fece, sorridente, nel 2017, e proprio sulla Piazza Rossa. Quella foto sorprendente fece il giro del mondo.
Ma all’indomani delle “elezioni farsa” -come le ha chiamate la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e con lei chiunque le abbia seguite- e nel dopodomani dello scandaloso destino che le autorità di quel Paese hanno riservato al dissidente Alexei Navalny, buttato nel carcere siberiano e fatto fuori, dire che “quando un popolo vota, ha sempre ragione” -come Salvini sul plebiscito pro Putin-, significa rischiare di sorvolare sulla grave realtà dei fatti.
Nessun problema, se l’apprezzatore di quel voto surreale, senza veri rivali, fosse un cittadino disinformato, che magari per puro amor di polemica preferisce anteporre il suo personale pregiudizio alla verità della cronaca nera che più nera non si può. O come bisogna giudicare il biennio di sangue in Ucraina scatenato da Putin? Come bisogna considerare il silenzio, spesso eterno, a cui lo Zar ha ridotto chiunque osasse in Patria, e perfino all’estero, criticarlo?
Ma Salvini non è un cittadino qualunque, libero di pensare e di indossare ciò che vuole. Lui rappresenta il governo dell’Italia, che ha condannato -anziché elogiato- quelle elezioni fasulle con parole, si spera, definitive di Giorgia Meloni al Senato. Dove, alla vigilia del Consiglio europeo, ha anche affermato che, per evitare il crescendo del già drammatico conflitto, non bisogna inviare soldati europei a Kiev (ipotesi che invece il presidente francese, Emmanuel Macron, non esclude). Ma con Putin non si tratta. “Come ci si può sedere al tavolo con chi non ha mai rispettato gli accordi?”, chiede, polemica, Giorgia Meloni.
La Lega ha voluto sottolineare la “piena sintonia” con la presidente del Consiglio, e meno male. Perché in realtà è l’intero Occidente a concordare sull’obbligo morale e materiale (armi e soldi) di sostenere l’Ucraina aggredita. E di liquidare il voto russo come “non libero e non equo”.
Nessuno è così stolto da negare che Putin possa godere di un forte consenso tra la sua gente. Ma è un consenso tipico dei regimi, cioè costruito sulla propaganda, sulla menzogna, sull’impossibilità stessa di metterlo alla prova, il consenso, perché è bandito il libero confronto e punito chi osa anche e solo invocarlo.
La guerra contro l’Ucraina è l’ultimo confine tra libertà e dispotismo, tra Europa e neoimperialismo, tra chi attacca per volontà di potenza e chi difende la Patria.
Non è ammissibile che su questo punto cardinale di politica nazionale e internazionale, possano sorgere fraintendimenti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova