Per farsi sentire sul Pnrr, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, già qualche giorno fa aveva rispolverato un’espressione degasperiana, invitando le istituzioni coinvolte a “mettersi alla stanga”, perché il Piano nazionale di ripresa e resilienza da difendere, “non è una questione di questo governo o dei due precedenti, ma dell’Italia”.
Dopo il via libera del Parlamento alla risoluzione di maggioranza sulle comunicazioni del ministro delle Politiche europee, Raffaele Fitto, riguardante l’attuazione del Piano, prima i Comuni e ora le Regioni hanno indirettamente risposto all’appello di Mattarella. Chiedendo al governo un impegno preciso su 16 miliardi dirottati altrove (transizione ecologica e autonomia energetica a scapito degli enti locali) e prospettando l’esigenza di scelte condivise. In ballo ci sono anche cantieri, che rischiano il blocco.
Dunque, la polemica non verte più sull’avvenuta approvazione da parte della Commissione europea delle proposte del governo italiano sulla terza rata con modifiche (54 traguardi e obiettivi) e sulla quarta a sua volta rivista. Adesso la sfida prende di mira il maldigerito definanziamento di alcuni interventi, cioè la mancanza di risorse pur previste e necessarie alle istituzioni locali per “mettersi alla stanga” con opere e impegni annunciati. Lo stralcio, invece, rischia di far saltare progetti importanti resi possibili proprio dal Pnrr. Tant’è che, per non vanificarli, il governo garantisce che ricorrerà a nuovi finanziamenti, prendendoli da altri fondi.
Ma sono rassicurazioni che le Regioni considerano generiche.
Lo stesso servizio studi del Parlamento ha di recente precisato in un rapporto sul monitoraggio dell’attuazione del Piano che, al momento, “non c’è una copertura alternativa per i 16 miliardi tagliati”.
S’assiste, così, a un ping-pong delle responsabilità, perché il ministro Fitto ribadisce che tutti gli interventi saranno fatti e parla di “polemica inutile”.
Tuttavia, anche i presidenti delle Regioni di centrodestra lamentano uno scarso coinvolgimento degli enti territoriali e temono che, alla fine, solo una parte di quei 16 miliardi sarà realmente recuperata.
Rivedere le misure di revisione, è la richiesta dei governatori.
Ma forse basterebbe che il governo rispondesse con certezza al grande dubbio: dove, come e quando troverà, in concreto, i fondi mancanti?
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi