In Alto Adige hanno cancellato per legge l’Alto Adige.
Se il governo di Roma aveva bisogno di un esempio di come la Provincia “autonoma” di Bolzano legifererebbe sulla toponomastica italiana se solo ne avesse la potestà, eccolo servito: con i voti della Svp il Consiglio provinciale ha approvato l’emendamento di una formazione minore e secessionistica, la Südtiroler Freiheit, che per la prima volta cancella la dizione di “Alto Adige” e di “altoatesino” nell’espressione italiana della legislazione bilingue italiano-tedesca.
Dunque, la parola “Südtirol” che compare nella formulazione tedesca di un testo legislativo sull’adempimento di obblighi europei, è stato reso come “provincia di Bolzano” nell’espressione italiana. Roba da matita blu, visto che non era la traduzione di “Provinz Bozen”. Ma non è una svista. I proponenti hanno spiegato che il corrispettivo toponimo di “Alto Adige” è un “termine fascista” da eliminare.
Contro il diktat politico-linguistico hanno votato tutti i consiglieri di lingua italiana e i Verdi interetnici, spinti dalla protesta di Alessandro Urzì (l’Alto Adige nel Cuore/Fratelli d’Italia), che parla di “atto inaudito di pulizia linguistica anti-italiana”. E che si tratti di una scelta-boomerang, l’ha compreso, con ritardo, il governatore Arno Kompatscher. Il quale, dopo aver avallato la provocazione in Consiglio provinciale, e a fronte della bufera che è subito scoppiata non solo in Alto Adige, ha dichiarato che è stato uno sbaglio. Un riconoscimento, però, a parole. Perché se la legge non sarà modificata con un’altra norma provinciale o impugnata dal governo davanti alla Corte Costituzionale, come il ministro per gli Affari regionali, Francesco Boccia, annuncia che farà in caso di inadempienza-, finirebbe per cancellare il nome di “Alto Adige” dalla legislazione atesina. Un grave precedente, per un nome che è scolpito in articoli della Costituzione.
In realtà, l’imposizione è il frutto avvelenato di una propaganda tanto martellante quanto ignorante, nel senso che ignora -o finge di ignorare- la lunga storia dei toponimi italiani dell’Alto Adige.
Per la maggior parte essi furono concepiti e determinati addirittura agli inizi del Novecento. Non fu Mussolini, bensì il governo-Giolitti nel 1921 a dare il primo e formale via libera alla toponomastica italiana in Alto Adige poi introdotta con regi decreti del 1923 e del 1940. Decreti che sono stati a loro volta recepiti e resi “repubblicani”, pochi anni fa, da una rigorosa e inequivocabile sentenza della Corte Costituzionale (la 346 del 2010). Sentenza che ha convalidato l’efficacia dei nomi in vigore da quasi cent’anni, respingendo ogni interpretazione in senso opposto da parte della Provincia di Bolzano.
La forma italiana della toponomastica bilingue ha, quindi, una protezione costituzionale a cui nessun legislatore, tantomeno provinciale, può venir meno. Nel caso specifico l’abolizione di “Alto Adige” è ancor più surreale, perché l’origine del toponimo non è mussoliniano: è d’epoca napoleonica. “Dipartimento dell’Alto Adige” (“Départment du Haut-Adige,”) risale al 1810. Più di cent’anni prima della Grande Guerra, giusto per dare un’idea della confusione storico-politica che si vuole ingenerare sui nomi italiani.
Ma “Alto Adige” è soprattutto la dizione più popolare in uso non solo presso la comunità altoatesina. Facendo riferimento al fiume che nasce lì, all’Adige, Alto Adige è persino il nome del principale quotidiano locale in lingua italiana.
Eppure, la cosa forse più sconcertante, è che un Consiglio provinciale della Repubblica, contando su una maggioranza di soli consiglieri di lingua tedesca, ha preteso di imporre agli italiani come possono o non possono chiamare in italiano la loro terra.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma