L’equivoco non poteva essere più azzeccato e allo stesso tempo commovente: i “bis” che per tradizione il pubblico della Scala grida in sala dopo una bellissima romanza, stavolta erano per il romanzo del Quirinale, i sette anni che volgono alla fine del mandato di Sergio Mattarella. E che invece i presenti alla Prima del Macbeth, come del resto non pochi italiani, vorrebbero che continuasse, nonostante il “non possumus” più volte espresso dal presidente della Repubblica. Che ha risposto alzando sguardo e mani appena e con timidezza all’ovazione di sei minuti degli spettatori in mondovisione.
La diretta non mente: l’Italia o è universale o non è. O si fa vedere e valere nelle virtù che il mondo ama, o si spegne in lotta di fazione.
Non a caso incarna la Nazione, quel Mattarella che a furor di popolo lirico si vorrebbe lasciare dov’è, a reggere ancora le sorti politiche e istituzionali al tempo della pandemia e della ripresa. Molti cittadini e quanti non smettevano di applaudirlo proprio questo richiedono ai politici: che non tornino indietro. Che, dopo l’esperienza Mattarella/Draghi, tandem di serietà e credibilità, non si resuscitino le risse partitiche vecchio stile, tutto ideologia e demagogia.
C’era riconoscenza in quell’ovazione in piedi per un signore rispettato e riservato, ma pure coraggioso come il suo ultimo capolavoro -Draghi a Palazzo Chigi- testimonia. Ma c’era anche la subliminale preghiera di tanti italiani d’ogni colore politico alle personalità degne di fiducia: per favore, andate avanti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi