Tutti ne parlano, ma pochi ne hanno colto gli effetti che sta già provocando sulla vita delle persone e del pianeta. Da tempo l’intelligenza artificiale, identificata con la sigla Ai, ha abbandonato la fantascienza per entrare con prepotenza nell’unico campo in cui neppure la più progredita medicina osava bussare: il pensiero umano. Qualcosa che va ben oltre il dibattito filosofico, per fare il suo ingresso nel pratico esempio di Putin che dialoga col sosia (e si fatica a distinguere l’originale dalla sua ancor più temibile suggestione). E gruppi editoriali euro-americani mandano a casa i dipendenti, giornalisti compresi, per sostituirli con sistemi informatici capaci di replicare il loro comportamento nel lavoro. E il Papa già mette in guardia sul rischio più grave, e purtroppo non peregrino, della Ai applicata nell’ambito delle armi, cioè della violenza e della guerra.
Ce n’è quanto basta non solo per prendere atto che siamo in piena era post-digitale, e già il mondo digitale gira in un’orbita complicata che lascia fuori o a metà strada una parte notevole dell’umanità. Ma soprattutto per agire prima d’essere travolti dalla finzione al posto della realtà e dai sosia più credibili dei cittadini in carne e ossa. Il clone esiste già e vive arrampicandosi al nostro pensiero: non è sufficiente per allarmarsi? Almeno su questo l’Europa s’è svegliata in tempo e con vertici, regolamenti, proposte di legge sta provando a inserire codici etici nella nuova disciplina debordante oltre ogni confine non solo territoriale.
Naturalmente, dall’invenzione della bomba atomica in poi la politica ha imparato che è impossibile fermare la scienza oppure dire al mondo “io voglio scendere”. Ma è la politica che decide se usare l’atomo per costruire o per distruggere.
Con l’Ai il dilemma si ripropone in una dimensione ancor più universale, perché l’avatar fra noi può incidere in ogni campo dello scibile. E perciò la politica ha il dovere della competenza (avere un minimo di contezza del tema esplosivo) e il diritto all’intervento per evitare il Far West virtuale. Come impedire all’impersonalità dilagante di cancellare la principale conquista degli ultimi decenni: il rispetto per la persona e i suoi diritti.
Tutelare la persona dalle pericolose o dolose incursioni dei replicanti, ecco la scelta più “intelligente” che la nostra civiltà è chiamata a compiere in fretta per non diventare, letteralmente, il fantasma di se stessa.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova