Se la guerra è la continuazione della politica con altri mezzi, secondo la celebre massima del generale prussiano von Klausewitz, vale anche il contrario: la politica che si fa attraverso la polemica sulla guerra.
Ne sa qualcosa il governo, che a Montecitorio non ha potuto porre la fiducia sul decreto-legge Ucraina bis, perché per tre volte è mancato il numero legale della propria, e sul punto litigiosa, maggioranza.
Abituale e deplorevole assenza di deputati impegnati altrove o allarme lanciato da chi, criticando l’invio di altre armi a Kiev, già si prepara alla campagna elettorale per la primavera 2023?
Secondo i tabulati, il più alto numero di mancate presenze si deve alla Lega. Solo una coincidenza? Salvini, si sa, al pari di Conte per il M5S, non perde occasione per il meno armi e più pace per tutti. Una posizione, peraltro, singolare, per chi sta in un governo che con Draghi ha posto in faccia al bellicoso Biden, nella recente visita a Washington, proprio l’impegno per la pace quale priorità dell’Italia e dell’Europa.
Ma alla pace non si arriva lasciando l’Ucraina alla mercé del suo invasore e dei suoi crimini, bensì aiutandola nell’unica scelta che gli aggrediti richiedono al mondo al costo della loro vita: resistere. Nell’attesa che Putin risponda almeno al pressante invito occidentale di una tregua, gli ucraini devono difendersi per non morire e per salvare la loro Patria. Così potranno negoziare sul serio la pace, anziché la resa con chi ha violato ogni diritto anche internazionale.
Pubblicato su Il Giornale di Vicenza