Non è più neppure uno spettro quello che s’aggira per l’Europa: è la realtà dilagante di un fronte (“il fronte della libertà”, l’ha appena battezzato Matteo Salvini, affiancato da Marine Le Pen) che ha l’obiettivo di rompere il sistema europeista così come l’abbiamo finora conosciuto. Un sistema non certo catapultato da un’oligarchia brutta, sporca e cattiva di marziani, bensì accompagnato, sin dalla nascita, da un fortissimo, anche se nel tempo assai calante, consenso popolare. Basti ricordare che l’unico referendum consultivo nella storia della Repubblica promosso per conferire addirittura un “mandato costituente” al Parlamento europeo, ottenne l’esito plebiscitario dell’88 per cento dei sì da parte degli italiani. Correva l’anno 1989.
Trent’anni dopo, i numeri sono di ben altra natura e tutti cambiati. E tutti preoccupanti. Il differenziale di rendimento fra un nostro Btp e un Bund tedesco va su e giù quota 300 punti. La Borsa di Milano ieri è stata la più sofferente in Europa, cedendo il 2,4 per cento.
E’ ovvio: uno Stato consapevole, con istituzioni competenti e lungimiranti, non può vivere all’ombra dei mercati, come i partiti in perenne balìa dei sondaggi. E’ la politica che deve sempre guidare l’economia e saperci difendere dalle turbolenze finanziarie.
Ma nessun governo con la testa sulle spalle può ignorare, anzi, sfidare apertamente l’aria gelida degli inequivocabili segnali d’allarme che arrivano dal mondo a causa dei “messaggi politici” che l’Italia sta dando a proposito della propria economia. A cominciare dall’impostazione della stessa e fondamentale legge di bilancio, elaborata con il criterio prioritario -ma in altri tempi si sarebbe detto elettoralistico- di accontentare ciascun partito i propri votanti, anziché l’interesse generale della nazione. Né consola la circostanza che tutti gli esecutivi si sono comportati allo stesso modo, perché la maggioranza gialloverde si picca d’essere “governo del cambiamento”.
Certo, se il “fronte della libertà” ha speranze di avanzare alle europee di maggio, è anche per il deserto che trova in cammino. Leader europei capaci di distinguere il vero dal falso che “gira” sull’Europa, e di saperlo spiegare ai cittadini, non se ne vedono. A Bruxelles sbagliano i calcoli, più che i conti: non le minacce economiche o ideologiche, ma solo la condivisione di un buon governo dell’Unione può arginare il vento populista. Prima che diventi tempesta.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi