Dopo le Metamorfosi di Ovidio e poi di Kafka, ora arriva la metamorfosi della Lega. A segnalarlo, è proprio uno degli uomini-simbolo del Carroccio che fu, l’incredulo Maroni. Punta l’indice contro una dichiarazione dell’avvocato Giulia Bongiorno, che il leader Salvini si dice “orgoglioso” d’aver appena candidato per il voto del 4 marzo. Ecco la frase incriminata, e sembra quasi una metafora della svolta politica leghista: “Questa Lega nazionale l’avrebbe approvata anche Andreotti”, sottolineava la neofita leghista Bongiorno. Che del divo Giulio fu celebre difensore in aula nei processi più controversi. Risponde lo sbigottito Maroni: “E’ davvero cambiato il mondo, io e Bossi quelli come Andreotti li abbiamo sempre combattuti”.
E così scoppia la polemica all’ombra del sette volte presidente del Consiglio, morto a novantaquattro anni nel 2013. Nella sua lunga vita politica ha rappresentato lo spartiacque democristiano di quella prima Repubblica che la Lega contribuì ad abbattere. Ironia del destino: oltre a discutere su Andreotti in una campagna che dovrebbe riguardare il domani, si voterà con una legge in prevalenza proporzionale, che ci riporta indietro a quel vecchio sistema di potere a lungo imperniato sulla Dc e sui compromessi d’andreottiana memoria.
Ma la scelta di Giulia Bongiorno, donna impegnata per le donne e a favore della legittima difesa con un passato finiano di destra, non è affatto una svista di Salvini. Anche se lascia sorpresi quanti, come Maroni, sostenevano Mani Pulite e ogni tre parole gridavano “federalismo” (ossia la vecchia guardia del partito), l’operazione “neo-andreottiana” certifica, invece, l’ambizione di Salvini: aspirare a Palazzo Chigi con parole forti, ma rivolgendosi a un elettorato d’opinione. Un partito populista, ma pigliatutto.
Il leader della Lega non più Nord sa che, per sperare di sorpassare Berlusconi, l’insidioso concorrente, deve alternare il radicalismo di chi è già schierato con lui con la moderazione del ceto medio anti-ideologico: la borghesia senza partito alla ricerca della destra perduta.
Dunque, la neo-candidata che rivendica tutto (“non toccatemi Andreotti”, ribadisce), si presenta nella nuova versione salviniana per attirare elettori in libera uscita da altri lidi, sommandoli ai leghisti di casa e di sempre. Che forse tutto avrebbero immaginato, fuorché di ritrovarsi, un giorno, Andreotti salito sul Carroccio.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi