Se litigano su quel che condividono, cioè l’autonomia, figurarsi che accadrà quando dovranno vedersela con ciò che li divide come la Tav.
Eppure, è il paradossale risultato del vertice di maggioranza finito bruscamente fra leghisti e pentastellati al tavolo in teoria istituzionale di Palazzo Chigi. Oggetto del contendere, infatti, era il tema, caro alle tre Regioni richiedenti -Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna- delle prerogative che lo Stato dovrebbe attribuire secondo la lettera e lo spirito dell’articolo 5 della Costituzione, uno dei più belli e lungimiranti. Stabilisce che la Repubblica “una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”.
La cornice, dunque, è chiara per tutti: l’unità e indivisibilità dell’Italia è un principio inderogabile. Rispettandolo, è interesse generale far valere le diversità che rendono unica la nazione. “Autonomia differenziata”, è stata non per caso battezzata l’iniziativa che intende spostare competenze e responsabilità da Roma alle Regioni “per premiare il merito e punire gli sprechi”, come dicono i proponenti.
E’ l’idea, che nel complesso sembra interessare otto delle venti Regioni, per cui il buon esempio finisce per trascinare le istituzioni locali che invece faticano. Si pensi alla sanità: le tante eccellenze in questo settore, e in varie parti d’Italia, fanno da punto di riferimento per gli ospedali e i reparti, anch’essi in varie parti del Paese, che invece arrancano con personale, mezzi e ricoveri. La sana competizione fa bene anche nell’organizzazione di settori strategici. La leale collaborazione fra tutti gli enti della Repubblica è il segreto locale e nazionale della buona riuscita.
Del resto, su questo presupposto di buonsenso concorda l’intero arco politico. Ma, allora, perché Salvini e Di Maio si rinfacciano “lo stop offensivo” (versione leghista) o il rischio di “regionalizzazione della scuola” (versione pentastellata) sulla riunione fallita? Perché il premier Conte avverte che “non si può trasferire ogni competenza”?
La realtà è che anche una questione già politicamente cotta e mangiata s’è invece trasformata in una sfida, l’ennesima, fra i due contendenti del governo. Salvini giurava che l’autonomia si sarebbe fatta, e perciò Di Maio, cioè il suo antagonista, intanto frena. Gli uni accusano la Lega di voler introdurre gabbie salariali fra Nord e Sud, gli altri ribattono che è tutta una farsa. Niente di nuovo, nel gioco delle parti.
Pubblicato su Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi