Lo scontro che si è aperto sul decreto-sicurezza, cioè su una legge dello Stato già in vigore perché promulgata dal presidente della Repubblica e pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale un mese fa, mostra il limite della politica ideologica quando essa affronta i problemi pratici.
Oggetto del contendere è la nuova norma che impedisce alle autorità competenti di concedere la residenza ai richiedenti asilo con un regolare permesso di soggiorno. Di fatto escludendo i migranti da una serie di prestazioni sociali e sanitarie e i minori dalla possibilità di frequentare scuole pubbliche. “Disobbedisco, si spaccia per sicurezza un intervento che puzza molto di razziale”, reagisce il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, rivendicando il diritto di non applicare quanto ha previsto il potere legislativo del Parlamento. E aprendo la via alla protesta di altri sindaci, soprattutto del Pd, pronti a seguirlo sulle barricate della coscienza. “Ne risponderà legalmente”, è la secca replica a Orlando da parte del ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Che a sua volta rivendica il provvedimento “di buonsenso e di civiltà”. Ma proprio contro Salvini si scatena la rivolta dei “non ci sto”.
Come sempre quando il gioco si fa duro, la sfida si nutre di nobili ragioni. Nella difesa di questa contestazione istituzionale senza precedenti, i primi cittadini all’attacco sostengono di volersi rifare alla Costituzione e alla tutela dei valori fondamentali della persona.
Naturalmente, il decreto-sicurezza non è il Vangelo e si espone a forti dubbi di ragionevolezza. Ma è nell’Europa tutta, non solo nell’Italia a guida gialloverde, che il tema dell’immigrazione sta facendo deflagrare ogni confine politico e giuridico: dove e come tracciare la nuova frontiera fra i diritti inalienabili della persona e il dovere della sicurezza per la nazione accogliente?
Tuttavia, se il decreto-sicurezza ha oltrepassato l’invalicabile confine dell’umanità, c’è un’istituzione che esiste apposta per verificarlo, e si chiama Corte Costituzionale. Non sarà difficile per così importanti contestatori trovare il modo e rivolgersi al magistrato per sollevare il conflitto secondo le regole. Ma nessun sindaco può né deve sostituirsi a un compito che la Costituzione non gli affida: quello di disapplicare una legge della Repubblica. Di tutto abbiamo bisogno, fuorché di un cortocircuito istituzionale. “Disobbedisco” solo Garibaldi poteva dirlo, e in altri tempi.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi