Sarà una navigazione lunga e tormentata, ma l’autonomia differenziata prende il largo domani da Palazzo Chigi. Per far salpare il disegno di legge del ministro, Roberto Calderoli, il già convocato Consiglio dei ministri è stato preceduto da una riunione che ha apportato “qualche ritocco” alla bozza dei dieci articoli. Delineano il percorso per le 15 Regioni a statuto ordinario interessate a seguirlo. Una nuova facoltà che almeno in tre casi -Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna- viene da tempo sollecitata per l’esercizio di ulteriori competenze e l’assunzione di maggiori responsabilità da parte di chi amministra il territorio.
“Sarà una giornata storica”, dice il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia. Che così spiega il senso della novità in partenza dalla capitale: “Si abbandona il centralismo senza minare in alcun modo l’unità nazionale”.
E’ proprio questo il faticoso equilibrio (uno Stato più aperto, una Nazione più unita) che si sta cercando nella maggioranza. E che adesso dovrà superare gli ostacoli legislativi promessi dall’opposizione in Parlamento e quelli giuridici anteposti dai governatori del Mezzogiorno contrari alla riforma. Anche se dopo i moniti del presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, riproposti dalla presidente del Consiglio, Giorgia Meloni (“vogliamo unire l’Italia, no a territori di Serie A e B”), in realtà nessuno pensa né potrebbe spingersi verso un decentramento separatista.
E la nave va, dunque. Ma l’autonomia dovrà contemplare i cosiddetti Lep -livelli essenziali di prestazione- per assicurare uguaglianza sull’intero territorio nazionale. Lo stesso Calderoli, consapevole che la difficile partita comincia ora, aveva ricordato che l’autonomia “si chiama differenziata proprio perché va gestita cum grano salis”.
Niente fughe in avanti, quindi, perché l’obiettivo della maggioranza è di arrivare al porto sicuro di un risultato, non più di sventolare l’irrealizzabile per poter dare la colpa a Roma se la riforma naufragherà tra gli scogli. Sarebbe stravagante rimpallarsi un eventuale fallimento, visto che in Veneto, Lombardia e a Palazzo Chigi regna lo stesso centrodestra.
E poi Fdi e Forza Italia, che stanno all’unità nazionale come la Lega all’autonomia, sanno che per loro la vera posta in gioco si chiama presidenzialismo. Tutto si tiene e tutti hanno lo stesso e “differenziato” interesse in comune: autonomia e presidente eletto dal popolo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi