L’accordo fra i partiti è stato raggiunto. Quando dalle parole si passerà alla legge di bilancio, la riforma fiscale che ne verrà fuori manderà in archivio il chiacchiericcio con cui per anni i governi hanno promesso di abbassare le tasse, non avendolo mai fatto.
Stavolta, invece, l’intesa prospettata dalla maggioranza-Draghi prende di mira la spina dorsale dell’economia italiana, cioè il tartassato ceto medio. Lo fa, semplificando le aliquote da 5 a 4 e intervenendo proprio su quelle che più interessano i contribuenti maggiormente spremuti.
Si cancella, dunque, la soglia del 41% prima dell’ultimo e confermato scaglione che resta al 43, e si riducono dal 38% al 35 e dal 27% al 25 altre due aliquote, cioè quelle che si applicano ai redditi da 15 a 55 mila euro all’anno.
La scure sull’Irpef “sarà strutturale”, annuncia il governo e già si calcola un beneficio di oltre 700 euro all’anno per i cittadini.
Sul nuovo fisco, che presuppone una spesa di 7 miliardi per tagliare le tasse dal 2022 e 1 miliardo per eliminare l’Irap per autonomi e professionisti, nicchiano i sindacati, perché il cambiamento non andrebbe incontro alle esigenze dei lavoratori e dei pensionati. Anche Confindustria chiede una “convocazione urgente” e paventa una “mancanza di visione”, sottolineando che la novità non migliorerebbe la competitività delle imprese.
La discussione è appena cominciata. Ma con una piccola, grande differenza: oggi si discute su una riforma concreta in arrivo, non più sugli annunci tanto roboanti quanto inconsistenti del passato.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi