Il caso ha voluto che il Senato e la Camera abbiano approvato quasi in contemporanea due testi molto diversi tra loro, ma accomunati da un’evidenza che va al di là di qualunque polemica: sono testi che cambiano l’Italia. E la cambiano in modo profondo e duraturo. Nel primo caso si tratta di un altro passo legislativo verso una nuova Costituzione, che non solo modificherà l’ordinamento dello Stato, ma che manderà in soffitta l’anacronistico e mastodontico bicameralismo di deputati e senatori costretti a fare le stesse cose con leggi che andavano su e giù, come in un’altalena senza fine, fra i due rami del Parlamento. A Montecitorio la novità approvata è simbolicamente perfino maggiore della riforma costituzionale che le opposizioni hanno duramente contrastato, ma sulla quale, non appena sarà approvata in modo definitivo, toccherà al popolo italiano esprimersi con un referendum. La simbolica e concreta novità riguarda il provvedimento che riconosce l’esistenza dei “nuovi italiani”: bambini nati o cresciuti in Italia, ma figli di stranieri. Bambini che ora potranno diventare ciò che, nei fatti, già sono, ossia italiani. Non con la bacchetta della demagogia né con la retorica del buonismo, ma dopo un ragionevole numero di anni di soggiorno dei loro genitori o dopo aver frequentato un ciclo continuato di scuole italiane. S’introduce, così, un principio di svolta: un domani potrà essere cittadino italiano, chi avrà dimostrato d’amare l’Italia. D’amarla, perché è nato qui. Perché è qui regolarissimo da cinque anni con la famiglia. Perché studia, gioca, tifa e canta in italiano e con coetanei italiani. Perché è lontano discendente di italiani: posto che il vigente ius sanguinis non sarà abolito, ma arricchito dallo ius soli e dallo ius culturae, cioè dal diritto che sgorga dal territorio in cui si vive e dalla cultura che s’impara. Anche questa nuova cittadinanza, come la riforma del Senato, si presta alle critiche, tutte legittime, anche se non tutte fondate. E’ evidente, per esempio, che abolire il Senato-fotocopia sarebbe stato più semplice e lineare che non ridurlo in termini di componenti (da 315 a 100) e con funzioni diverse ma pasticciate, e all’insegna di un regionalismo fallito. Così come il testo sulla nuova cittadinanza appare prudente, frutto anch’esso di un compromesso tra chi voleva la luna e chi vorrebbe considerare un milione di ragazzi figli di stranieri alla stregua di marziani. Ma pur con molti limiti e non poche contraddizioni, l’Italia prova a voltare pagina.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi