A fronte di quel che sta avvenendo ogni giorno nel mondo, molti cittadini faticano a comprendere quel che sta invece avvenendo nel Senato della Repubblica, diventato l’ultimo fortino del “qui la va o la spacca” dei partiti. Da una parte c’è la maggioranza che intende portare a casa la riforma della Costituzione in terza lettura, il penultimo atto perché diventi legge dello Stato (dovrà poi tornare alla Camera per il voto finale). Dall’altra si muovono non solo l’intera opposizione, ma anche l’opposizione che nel Pd contesta il testo voluto da Matteo Renzi. Non, dunque, un corpo a corpo legislativo per i profughi che si riversano su un’Europa disunita, per l’economia che non decolla col vigore da tutti reclamato, per l’Isis che estende la sua barbarie nell’indifferenza generale. La politica si sta radicalmente dividendo e contrapponendo su un tema del quale, oltretutto, l’ultima parola sarà affidata agli italiani. I quali saranno chiamati a ratificare o respingere la nascita del nuovo Senato e le modifiche costituzionali oggetto del focoso contendere. E come accaduto in passato, non avranno difficoltà a bocciare la riforma, se così riterranno, perché gli italiani avranno molti difetti, ma non sono nati ieri.
Invece in queste ore è tutto un via-vai di minoranza del Pd che abbandona il confronto casalingo, di maggioranza che allora vuole andare subito in aula per votare, di opposizioni che calcolano (o sperano) che alla fine non ci saranno i numeri, e perciò la riforma, il governo e soprattutto Renzi il decisionista rischieranno d’entrare in crisi. Tutto ruota intorno all’articolo 2, che prevede d’indicazione e non più l’elezione dei futuri senatori da parte dei Consigli regionali. Ma nella contesa ognuno porta l’acqua al suo mulino, per esempio Forza Italia chiede di rivedere l’appena approvata legge elettorale. Con ogni evidenza non può essere il contenuto della riforma di per sé a produrre dissensi tanto forti, visto che il provvedimento è da mesi all’esame dei due rami del Parlamento, e la madre di tutte le battaglie poteva essere combattuta già nelle precedenti votazioni. Sull’onda di quel che non piace, la minoranza Pd va alla resa dei conti con Renzi. E riesce difficile immaginare che tale rottura resterà senza conseguenze, qualunque esito sarà. Perché se la riforma passa, chi s’è opposto non potrà dire che stava scherzando. Se non passa, sarà lo stesso Renzi a non poter considerare l’incidente una marachella dei suoi. Il nodo è venuto al pettine in un Senato che sembra fuori dal mondo.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi