La guerra che Putin ha scatenato il 24 febbraio 2022 contro l’Ucraina, la strage degli innocenti che Hamas ha compiuto in Israele il 7 ottobre 2023 e gli attacchi che gli Houthi lanciano da settimane contro le navi commerciali sul Mar Rosso hanno un comune denominatore, pur nell’evidenza di tre modi e mondi molto diversi che ricorrono al terrorismo come continuazione della politica con altri mezzi: l’odio per l’Occidente.
Un odio proclamato e propagandato, persino, per attirare consensi nel diffuso fanatismo di quelle aree del globo che considerano gli Stati Uniti il male assoluto e l’Europa la sua servile propaggine.
Gli aggressori non perdono occasione per ribadire con ogni mezzo, armato e verbale, il loro intollerante e rabbioso punto di vista. Ma gli occidentali, intesi come governi e come popoli, sono consapevoli di ciò che essi rappresentano agli occhi di chi li considera il nemico principale? I politici e gli abitanti del grande e malefico Occidente da mettere in ginocchio, sono coscienti d’aver un destino comune, e non solo una ricca memoria tra Vecchio Continente e Nuovo Mondo?
In realtà, la contezza che le democrazie al di qua e al di là dell’Atlantico si nutrano di valori straordinari e non negoziabili, che meritino di essere difesi anche a costo della vita, è piuttosto recente.
Si deve al martirio dell’Ucraina, che è anche il cuore geografico dell’Europa, la riscoperta di quanto sia importante salvaguardare la libertà. L’Ue che sostiene Kiev nell’esemplare difesa della Patria, riafferma anche l’altro principio che tanto indigna despoti e terroristi: la solidarietà e il rispetto occidentali per la persona, cioè l’amore per la vita in contrapposizione all’esaltazione della morte.
L’amore per la vita è la vera radice del mondo occidentale. Eppure, quando una ventina di anni fa l’Europa scriveva la sua Costituzione (sfumata dopo il no di Francia e Olanda, due Paesi fondatori, sancito con referendum nel 2005, ossia ben prima della Brexit nel 2016), non si ebbe il coraggio morale e intellettuale di certificare nel preambolo del testo da dove veniva questa civiltà di valori e principi di cui siamo figli dei figli.
“Io non vedrei inopportuno, in una Costituzione, un riferimento alle radici greco-romane e giudaico-cristiane del nostro continente, unito all’affermazione che, proprio in virtù di queste radici, così come Roma ha aperto il proprio pantheon a dèi di ogni razza e ha posto sul trono imperiale uomini dalla pelle nera (né si dimentichi che Sant’Agostino era africano), il continente è aperto all’integrazione di ogni altro apporto culturale ed etnico, considerando questa disposizione all’apertura proprio una delle sue caratteristiche culturali più profonde”. Così scriveva con mirabile visione Umberto Eco sull’Espresso.
Invece, l’indifferenza e l’ignavia politica dei (mancati) padri costituenti europei impedì l’innocuo, ma fondamentale riferimento all’eredità greco-romana e giudaico-cristiana nel preambolo della Costituzione europea che fu. Venne esclusa anche l’ipotesi di un ulteriore riferimento pure ai valori altrettanto universali scaturiti dalla Rivoluzione francese.
Niente di niente: nasceva e abortiva un’Europa orfana, timorosa perfino di dichiarare la sua identità tanto bella e profonda. Così bella e profonda, da essere invidiata, cioè odiata, dai regimi di moderna tirannia o anacronistica teocrazia. Regimi che non sopportano il pensiero libero e il progresso autentico, la tradizione e la familiarità antiche, i diritti irrinunciabili e perfino la difesa armata della pace di cui si nutre la civiltà occidentale. Piena di altri difetti, certo, trattandosi di una civiltà consumistica con tutti gli eccessi e le ingiustizie, dall’economia all’ambiente, dall’organizzazione sociale all’istruzione, alla sanità, alla solitudine degli animi che ben conosciamo, e che da decenni, infatti, noi europei cerchiamo per primi di correggere, mitigare, migliorare.
Ma è una civiltà basata sul sacro rispetto di sé e degli altri. Sull’eguaglianza quale aspirazione di partenza per tutti e il merito come valore da premiare, perché capace di mettere sullo stesso piano i figli di un dio minore e i figli di papà. Una civiltà che vive di cultura e di conoscenza, che investe nella medicina, nella tecnologia e nello spazio, ossia che è alla perenne ricerca della felicità personale e collettiva. Per inseguirla, Marco Polo viaggiava verso l’Oriente Estremo e Cristoforo Colombo solcava l’Oceano, così come oggi vogliamo presto abitare la Luna e raggiungere Marte un giorno non lontano.
Questa civiltà del grande sogno che continua, questo luogo storico e geografico che prospera nel diritto e nei doveri, che si alimenta di ragione e di passione, che crede nell’umanesimo, ossia nell’umanità, è la nostra casa. E’ il “preambolo” del nostro stesso avvenire, da coltivare con orgoglio, gratitudine e fratellanza per non soccombere all’odio degli invasori e degli invasati.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige