Il duello è fissato per domani al Consiglio dei ministri. Ma sarà all’ultimo sangue oppure Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che a parole affilano sempre più le armi, troveranno una formula senza vincitori né vinti sul bollente caso-Siri?
Ad ascoltare le bordate che alla vigilia i due contendenti si scambiano sul destino del sottosegretario leghista indagato per corruzione (i Cinquestelle esigono che lui lasci, con la stessa veemenza con cui i leghisti pretendono che rimanga), il governo è sull’orlo di una crisi almeno di nervi. Per evitare il rischio della crisi vera, Giuseppe Conte, che alle critiche leghiste risponde rivendicando d’essere “il presidente del Consiglio e non un arbitro”, prova comunque a rassicurare le parti: “Al Consiglio dei ministri non andremo alla conta”. Perché se questo avvenisse, se la partita si trasformasse in un derby stile “tutto il voto ministro per ministro” sulle dimissioni di Siri, l’aritmetica assegnerebbe ai pentastellati la vittoria a tavolino. Ma la politica imporrebbe allo sconfitto Salvini di non poter accettare un simile affronto, per giunta subìto dall’alleato. E allora: Siri si dimetterà lui per evitare lo scontro? I leghisti diserteranno il vertice o metteranno il dissenso solo a verbale? Si vedrà in che modo la resa dei conti sarà “interpretata” dai duellanti per suprema ragion di governo.
“Io non abbandono mai gli uomini con cui si è fatto un pezzo di strada insieme”, è l’avvertimento del leader leghista a difesa del sottosegretario. Intanto la Procura di Milano apre un’inchiesta sull’acquisto di una palazzina a Bresso da parte di Siri. E Salvini ironizza: “Gli contestano il mutuo? E’ il reato di tutti gli italiani”.
In realtà, l’aspetto giudiziario è fuori dalla diatriba: è evidente che solo la magistratura potrà accertare come sono andate le cose. La questione è invece politica: Di Maio e Conte considerano inopportuno che un indagato per corruzione vesta i panni istituzionali del sottosegretario, mentre Salvini invoca la costituzionale presunzione d’innocenza che deve valere anche per un sottosegretario.
Il caso è così diventato un braccio di ferro per vedere chi comanda nella maggioranza gialloverde. Con il conseguente risvolto elettorale che il vincitore spera di trarre dalle incombenti Europee del 26 maggio. Il verdetto che potrà, semmai, aprire una crisi politica alla vista, oltretutto, della prossima e molto insidiosa legge di bilancio.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi