Dopo il “no, grazie” della Camera dei deputati al Meccanismo europeo di stabilità detto Mes, meccanismo invece già ratificato da tutti gli altri Paesi che hanno adottato l’euro, l’interrogativo principale non è che cosa ora rischi l’Italia. Né che cosa potrà mai accadere in caso di crisi economica -per questo il Mes “salva-Stati” è stato inventato- alle altre nazioni firmatarie, posto che l’oggetto del contendere non era il fondo in quanto tale, bensì la successiva riforma introdotta per rendere più robusto il paracadute finanziario, in particolare in ambito bancario.
La vera domanda che la bocciatura parlamentare, col compiaciuto assenso del governo, dovrebbe porre a tutti i partiti come al solito già divisi e contrapposti tra maggioranza e opposizione, è molto semplice: l’Italia a che gioco gioca in Europa? Ci crediamo o no nell’Ue? E il governo di Giorgia Meloni, che in politica estera ha sposato l’europeismo del predecessore Mario Draghi sull’Ucraina e la crisi energetica, cioè l’insidia peggiore vissuta dal continente, in politica economica da che parte sta?
Ha ragione il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, quando dice che “non è che l’Europa ha sempre ragione e l’Italia ha sempre torto”. Ne è prova lampante la sfida epocale dell’immigrazione, che finora ha visto il nostro Paese invocare l’intervento europeo in solitudine, e tutte le altre nazioni voltare la testa dall’altra parte e le spalle al Mediterraneo.
Ma per dimostrare che l’Italia può aver ragione da sola, non basta zigzagare per settimane sul Mes, come ha fatto la maggioranza a dispetto dello stesso Giorgetti favorevole ad approvarlo. E alla fine respingerlo, il Mes, quasi come un dispetto per l’avvenuta riforma del Patto di stabilità sull’asse Berlino-Parigi, cioè senza il coinvolgimento di Roma alla pari.
Si può, infatti, anche dire no al Mes, purché però nello stesso tempo si indichino le modifiche che avrebbero potuto (e ancora potrebbero a partire dal 2024), rendere accettabile per l’Italia una riforma del salva-Stati in sintonia e non a danno eventuale del sistema bancario nazionale, che è forse il più solido dell’Ue.
Credere nell’Europa non significa ripetere il “signorsì” troppe volte e in troppi campi pronunciato dai governi, spesso più desiderosi di accontentare gli alleati con disinvolta leggerezza che non di far valere l’interesse nazionale ed europeo. Significa, tuttavia, essere costruttivi: il “signornò” sempre accompagnato da un’opzione migliorativa. Agire con una strategia europea alternativa, invece che reagire con un “no” senza sbocchi, e che può minare la credibilità italiana. Posto che sul Mes abbiamo alzato la voce solo alla fine e in maniera maldestra: difficile per gli altri Paesi di eurolandia comprendere le nostre motivazioni, spiegate male e oltre il novantesimo. Dando così un’idea di improvvisazione e sollevando l’altrui irritazione che l’Italia non merita.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova