E siamo così arrivati al vertice europeo numero tre nel giro di un mese. Neanche l’economia, il lavoro o il terrorismo avevano finora indotto i ventotto rappresentanti dell’Unione, riuniti in queste ore, a stabilire il primato di un incontro ogni dieci giorni lassù, a Bruxelles. Tutti insieme appassionatamente per affrontare l’emergenza più drammatica e visibile: che fare col fiume di persone che da ogni parte del mondo a noi vicino si riversano sul Vecchio Continente con crescente e inconsolabile sofferenza. L’ultima idea di un’Europa senza idee si chiama Turchia: quanti soldi darle -e loro ne chiedono tanti- per delegarla un po’ come il poliziotto o il vigile urbano per conto di tutti che dirige, smista e, nell’inconfessabile desiderio dei più, blocca i flussi della disperazione. Risolvere la crisi della cosiddetta via balcanica, ecco il ruolo sognato per la Turchia che, tra l’altro, non fa neppure parte dell’Unione. E magari ha qualche allergia con la libertà di stampa, cioè il rispetto delle regole elementari. Si chiede ai turchi di togliere le castagne dal fuoco che riguardano i ventotto Paesi. Perché le tendopoli, i confini chiusi all’improvviso, i veti incrociati fra Stati e governi sono tutti dentro la nostra bella casa europea, e non fuori.
Ma l’Unione che dice ad Ankara “gigante, pensaci tu”, allo stesso tempo vorrebbe riaffermare il senso degli accordi di Schengen, cioè la libera circolazione dei cittadini fra le nazioni -Italia compresa- che vi aderiscono. E’ il fondamento dello stare insieme e di quanto, dall’Erasmus all’euro, s’è sviluppato negli anni per impedire che l’Unione in cammino tornasse a essere una litigiosa espressione geografica. Un fondamento che vacilla.
Ma è proprio questo il rischio a cui va incontro l’Europa, immaginando che la Turchia, finanziata e coccolata, potrà risolvere da sé un fenomeno che ogni giorno si ripropone coi barconi nel Mediterraneo. Che trova percorsi nuovi e vecchie astuzie per raggiungere il profondo Nord, provocando terremoti elettorali perfino nella controllatissima Germania. Non potranno essere i soli turchi ad affrontare una sfida che appartiene agli europei, alla loro mancanza di visione politica sul futuro e di comprensione umana sul presente, alla loro incapacità di dividersi compiti, pietà e rimpatri fra eguali. Perché eguali sono i ventotto Paesi uniti per ragioni non soltanto economiche. L’Europa dei migranti non finisce ad Ankara, dove neppure incomincia.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi