Da Umberto Bossi, il fondatore detto il senatùr, a Matteo Salvini, il leader che ha portato il partito al massimo consenso (34,3 alle europee del 2019) e soprannominato il capitano. Dalla Lega Nord per l’indipendenza della fantomatica Padania al “prima gli italiani”. Dalle battaglie per l’autonomia regionale alle sfide sovraniste in Europa, cioè oltre la stessa Italia.
Trentaquattro anni dopo l’esordio, il 20 maggio 1990, nel “sacro suolo” di Pontida, provincia di Bergamo, l’appuntamento oggi si ripete per l’ormai più vecchio di tutti gli attuali partiti.
Ma stavolta sul palco del tradizionale evento all’insegna di un blu rassicurante al posto del verde originario e rivoluzionario, tutto è cambiato, come si vede dagli ospiti annunciati: il fior fiore dell’anti-progressismo europeo, populisti e radicali di destra compresi e riveriti, dall’Ungheria all’Olanda, dall’Austria alla Spagna, alla Francia da tempo di casa con Marine Le Pen.
Se Pontida è la vetrina sul prato per capire dove vuole andare il capitano, che è anche vicepresidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture, almeno di una cosa si può star certi: la Lega non rinuncerà al ruolo di partito di lotta e di governo. Più con le parole che con gli atti, come si conviene a chi dice peste e corna di Bruxelles, ma sostiene il commissario italiano, Raffaele Fitto, che di quella avversata compagnia fa parte. Oppure criticando l’invio di armi all’Ucraina, non però al punto da mettere in crisi il pieno appoggio al Paese aggredito da Vladimir Putin (già idolo oggi decaduto di Salvini). Oppure col “no alle tasse”, ben sapendo che il ministro dell’Economia e leghista, Giancarlo Giorgetti, alla fine dovrà decidere lui in che modo far quadrare il bilancio dello Stato.
Meno complicato per gli alleati, e infatti tema della manifestazione, puntare sulla sicurezza e sulla difesa dei confini. Anche se la Lega o una parte (non quella dei pragmatici suoi governatori), fatica a distinguere tra il rigore nel controllare e governare l’immigrazione illegale e l’importanza di riconoscere la cittadinanza italiana ai figli minori di stranieri dopo un lungo ciclo nelle scuole della Repubblica. Giovani militanti leghisti hanno fischiato Antonio Tajani, leader di Forza Italia, per aver appena proposto il testo “ius Italiae” alla sua maggioranza, cioè il realismo di consentire ai bambini e ragazzi italiani di fatto, ma non ancora di diritto, di essere per la Legge ciò che già sono nella vita e nel cuore.
E’ un indicatore per capire se e quanto Salvini sia pronto ad anteporre scelte ragionevoli e capaci di raccogliere ampi consensi in Parlamento e nel Paese ai facili proclami delle paure e dei pregiudizi. Paure e pregiudizi, peraltro, che i suoi ospiti stranieri cavalcano a meraviglia nei loro Stati.
Ma alla Lega tanto cambiata, il pragmatismo non è mai mancato.
Almeno sullo ius Italiae non si rimettano la camicia verde, che sta bene appesa nell’armadio.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova