Solo una politica che a forza di vedere sempre nemici da abbattere è accecata dalla propria faziosità, può polemizzare con un presidente del Consiglio quando fa la cosa giusta: volare a New York per portare l’omaggio della nazione a due donne pugliesi che rappresentano il sacrificio, il talento e l’orgoglio dell’Italia che vince nell’universo. Flavia Pennetta e Roberta Vinci, che bella favola. Per la prima volta nella storia internazionale del tennis due italiane nella finale all’aperto di uno dei quattro tornei -detti Grande Slam- più importanti di tutti. E le “nostre” ragazze non sono figlie di nessuno, come troppo spesso è accaduto ai campioni non solo sportivi del passato, quando le istituzioni snobbavano gli appuntamenti con il successo dell’italianità all’estero. Stavolta ad applaudire e gioire in tribuna c’è il capo del governo italiano, Matteo Renzi. Esattamente come fece l’indimenticabile “nonno” Sandro Pertini quando, al Mondiale di Madrid nell’82, dal palco ufficiale sventolava felice la sua pipa per la vittoria degli Azzurri in finale con la Germania. E tutti noi a saltare in allegria per le strade con lui, presidente della Repubblica che ebbe la sensibilità, istituzionale e popolare, d’essere presente in modo giusto al momento giusto. Quant’è triste, allora, vedere rappresentanti di ciò che un tempo si chiamava “destra” oggi caricare a testa bassa contro una scelta impeccabile di chi per la circostanza rappresenta né più né meno che il sentimento di tutti gli italiani. Un atto di riconoscenza per due ragazze, Roberta e Flavia, che sono arrivate a quel traguardo storico dopo aver sconfitto nientemeno che le numero uno e due del mondo rispettivamente. Chi conosce il valore invincibile della condivisione dovrebbe spronare il premier per la ragione opposta: vada più spesso per il mondo, se questo significa appoggiare l’imprenditoria del made in Italy, la moda, il cibo e il bel canto tricolori, l’Italia dello spazio, della fisica e della cultura, da Samantha Cristoforetti a Fabiola Gianotti, da Muti a Sorrentino, alla Ferrari, a Valentino il motociclista e Valentino lo stilista. “Campioni” che alzano il nostro sguardo dalle miserie della politica casalinga, dagli scandali di mafie e ruberie, dal molto che non funziona. Quando i partiti capiranno che la nazione vale più della fazione, e che anche i gesti servono per distinguere il senso dello Stato dall’indifferenza del Palazzo, nessuno noterà più un presidente del Consiglio che ha fatto solo il suo dovere andando a New York.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi