Può un “governatore” della Repubblica italiana rifiutarsi di esporre il Tricolore? E può rifiutarsi di farlo, se glielo chiede espressamente il governo nazionale come atto di omaggio alla memoria dei milioni di giovani italiani che cent’anni fa entravano in guerra, la Grande Guerra, molti di loro (seicentomila) senza più tornare a casa? E molti altri, almeno un milione, rimasti feriti o mutilati in quell’immane conflitto che segnerà la fine dell’impero austro-ungarico e la nascita di un’Italia indipendente e unita?
L’interrogativo sembra grottesco: figurarsi se nel 2015, nell’Europa che da settant’anni è finalmente in pace con se stessa dopo una seconda e altrettanto tragica guerra mondiale, un presidente di Regione può arrivare a considerare la bandiera nazionale come un simbolo da evitare. Da tenere ben chiuso nel cassetto, addirittura, anziché far ondeggiare con la dolcezza del vento e dell’amore -nient’altro che amore- che quello sventolio intende comunicare. Eppure, il giovane e pur promettente di un “nuovo corso” presidente della giunta provinciale di Bolzano, Arno Kompatscher, ha risposto picche a palazzo Chigi: lui lassù, nell’Alto Adige che regala ogni genere di campione sportivo contento d’avvolgersi nel Tricolore quando vince (dalla pattinatrice Carolina Kostner ad Armin Zoeggeler, il re dello slittino, dalla tennista Karin Knapp allo sciatore Christof Innerhofer), la bandiera dei tre colori oggi, 24 maggio, no, non l’esibirà. E il suo omologo a Trento, Ugo Rossi, l’esporrà solo a mezz’asta, “in segno di rispetto per i popoli dell’Euregio”. Trento, la terra di Cesare Battisti, la terra per la cui libertà s’è battuta un’intera generazione: forse il “rispetto per l’Italia” è secondario?
“L’indicazione di Roma di ricordare in questo modo l’inizio del conflitto è incomprensibile e sbagliata”, ha spiegato Arno Kompatscher. “Avremmo invece volentieri seguito un eventuale invito a mettere le bandiere a mezz’asta, che sarebbe stato il modo giusto per ricordare le vittime di questa tragedia”. Ma il tono bonario usato o l’argomentazione quasi offensiva che pretenderebbe di trasformare in lutto collettivo il giorno di pur dolorosa liberazione per l’Italia -perché sancì l’inizio della definitiva riscossa della nazione dai suoi padroni asburgici, e al costo della vita per moltissimi e giovanissimi italiani-, sono solo un alibi. Che sorprende in chi, come Kompatscher, ha fatto anche l’alpino nel servizio di leva, ma che purtroppo s’inserisce nella tradizione istituzionale di ostentata indifferenza ai simboli dell’Italia inaugurata dal predecessore Luis Durnwalder. Il quale fu l’unico governatore d’Italia che si rifiutò di partecipare alle cerimonie dell’allora presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per i centocinquant’anni dell’unità nazionale. Con motivazioni pretestuose che almeno Kompatscher ha avuto il buon gusto di non ripetere. Ma cent’anni dopo, e settanta dall’accordo De Gasperi-Gruber che ha costruito pace e ricchezza nell’intero Trentino-Alto Adige, coltivando anche il sentimento di nuove generazioni di ragazzi tirolesi che, come i loro campioni nello sport, si riconoscono sia nella lingua tedesca che nel Tricolore, il no di Kompatscher e il “ni” di Rossi, simbolicamente quasi peggiore, suonano molto male. Onorare il Tricolore, almeno una volta ogni cent’anni come oggi, è il minimo che una Repubblica libera e democratica debba attendersi dai suoi “governatori”. E il rifiuto della bandiera è un pessimo esempio per il futuro della memoria.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma