Quando la rete diventa una fogna, e accade sempre più spesso, è inutile indignarsi. Sui social i nuovi, ma assai diversi “Miserabili” -per parafrasare un capolavoro della letteratura-, si sono perfino guadagnati un nome, haters, gli odiatori. Costoro approfittano di potersi nascondere dietro a un’identità il più delle volte fittizia, per vomitare sul web ogni tipo di insulto nei confronti di chicchessia. Si fanno forti del buio, per dare alla luce il peggio di se stessi.
E’ così diventato fenomeno di massa quel che succedeva con calunniosa parsimonia: lo scritto che si spediva, anonimo, per danneggiare l’avversario politico o il rivale d’amore. Oppure l’urlo occasionale al microfono della radio o della tv: il bruto di turno che coglie il bello della diretta per oltraggiare o per essere scurrile.
Ma, quando chi inveisce si pone come obiettivo da colpire perfino l’ex presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, oggetto di insulti e macabri commenti proprio nelle ore in cui veniva operato d’urgenza fra la vita e la morte, non si può dare la colpa soltanto alla volgarità dei tempi o alla società dei maleducati. Purtroppo per loro, i primi ad aver aperto il vaso di pandora delle offese truculente affibbiate a destra e a manca, e anche allo stesso Napolitano mentre sedeva al Quirinale, sono stati i politici. Indistintamente. Come se le parole non fossero pietre. Come se le contumelie che i leader si scambiano di continuo, non finissero per diventare un “libera tutti” per i cittadini.
Se Berlusconi riferisce che la gente, davanti ai Cinque Stelle, paventa un pericolo “come gli ebrei davanti a Hitler”. Se a sua volta sul Cavaliere è stato pubblicato un libro con l’elenco dei pesanti insulti ricevuti. Se il “vaffa” divenne l’urlo in piazza del grillismo, l’odiatore di turno si sente poi autorizzato e in diritto di non essere da meno.
Il risultato è che alcuni giornali hanno deciso di cancellare i post che auguravano pure la morte all’ex capo dello Stato. Ma è la pietà, in realtà, che muore nella coscienza di quanti vivono di pregiudizi e di rancori in penombra, e tengono a farcelo sapere via internet.
Richiedere alla politica di abbassare i toni non è, dunque, un richiamo buonista né banale. Significa, semplicemente, ridare alle parole il senso che hanno e che meritano, impedendo che vengano usate come una clava sul capo dell’avversario.
Perfino quando è riverso su un letto d’ospedale.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi