Neanche la terribile Margarethe Maultasch, l’ultima principessa del Tirolo che, non avendo successori, cedette il suo feudo al duca Rodolfo IV degli Asburgo il 26 gennaio 1363, plauderebbe alla grottesca decisione dei suoi eredi contemporanei. I quali hanno deciso, nel Tirolo che oggi è solo un Comune, di cancellare i nomi italiani dai cartelli bilingui che indicano i sentieri di montagna. E il fatto che tale scelta contraria al buonsenso comune, ma anche alla lettera e allo spirito della Costituzione, delle sentenze della Corte Costituzionale e dello stesso Statuto speciale d’Autonomia alto-atesino, sia stata presa dalla locale Associazione turistica, la dice lunga su come lassù immaginino l’informazione tra monti e passeggiate sia per gli italiani residenti, sia per i numerosi connazionali vacanzieri, compresi moltissimi romani, che ogni anno visitano quel luogo incantevole a due passi da Merano. Incantevole e ricco di memorie senza frontiere, come testimoniano due dei suoi castelli: Castel Tirolo, dove ogni estate si organizzano concerti e manifestazioni rievocative, e Castel Fontana o Brunnenburg che dir si voglia, dove Ezra Pound, il più grande poeta del Novecento -come lo definì Pier Paolo Pasolini-, trascorse gli ultimi anni della sua vita italiana.
Ecco, in questo luogo da favola, dove sembra che dai castelli possano uscire le tre fatine della Bella Addormentata nel Bosco, i cittadini italiani non troveranno più “Caines”, “Masi della Muta” o “Scena” bensì la sola dizione in tedesco di “Kuens”, “Muthöfe” o “Schenna”. Un inutile atto di prepotenza storica e linguistica nei giorni in cui l’Europa s’è schierata contro l’annunciato muro al Brennero da parte degli austriaci (con loro successiva retromarcia) in nome di quei principi di libertà e di cultura universale di cui l’Italia ha dato prova esemplare proprio in Alto Adige. Dove da oltre settant’anni la minoranza di lingua tedesca può giustamente indicare nella sua lingua la toponomastica centenaria dell’Alto Adige, che è bilingue italiano-tedesca per dare a ciascuno il suo. Come tutti i grandi tesori della storia, che sono sempre il frutto di luoghi e di comunità incrociate e incontrate alternando conflitti e pacificazioni, torti e ragioni, momenti bui e splendidi: lo splendore di una convivenza fra italiani, tedeschi, ladini e ora molti stranieri maturata col passare del tempo.
Ma eliminare i toponimi italiani da un luogo-simbolo come Tirolo, e con gli applausi della parte politica più oltranzista del mondo tirolese, non è poca cosa. Rischia di diventare, se ignorato dalle istituzioni, quel precedente “di fatto” con cui da tempo il Consiglio provinciale di Bolzano dominato dalla Svp tenta di piegare “di diritto” la pur chiarissima legislazione sulla toponomastica in Alto Adige. Così chiara, che il governo-Monti aveva impugnato davanti alla Corte Costituzionale una legge provinciale che mirava a smantellare l’obbligo costituzionale della toponomastica bilingue italiano-tedesca. Quel ricorso avrebbe indotto i giudici a riaffermare la giurisprudenza di sempre: nella Repubblica italiana l’italiano è insopprimibile lingua ufficiale in ogni ambito pubblico. Ma tale ricorso è stato “congelato” presso la Corte dai governi successivi su richiesta della Provincia di Bolzano, che punta a un’intesa politica attraverso un’insidiosa norma d’attuazione. Insidiosa, perché l’obiettivo plateale è quello di vanificare quanto scritto nello Statuto speciale alto-atesino del 1972, che è già andato molto al di là di quanto disponesse l’Accordo De Gasperi-Gruber del 1946, fonte primaria di quella tutela linguistica, la più estesa in Europa, poi accordata dal Parlamento. Una tutela prevista per rinvigorire l’identità della comunità di lingua tedesca, non già per mortificare quella degli italiani, né per rivangare il revanscismo segnaletico. Andare alla caccia di quale sia il nome più “storico” fra le versioni di uno stesso toponimo in italiano e in tedesco, eliminandone l’italiana ormai secolare, significa vivere su Marte. Quasi due terzi dei nomi italiani oggi usati in Alto Adige risalgono a studi ed elenchi pubblicati tra il 1906 e il 1916, quando neanche Mussolini era fascista. Circostanza che ridicolizza anche la volontà di eliminare i centenari toponimi italiani col pretesto che sarebbero “fascisti”: in realtà dà fastidio che siano un consolidato patrimonio italiano.
Oggi indicando la stessa frontiera gli italiani dicono “Brennero”, i tedeschi “Brenner”. E’ l’importanza di rispettare sempre la verità dei fatti e la libertà di parola per tutti ciò che dovrebbe indurre il governo a dire: “Signori, non si può fare”.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma