Se la politica estera è la proiezione del Paese nel mondo, il governo non dovrebbe dubitare su come comportarsi. Siamo fra le prime potenze industriali del pianeta, esportiamo eccellenza e qualità ovunque, e perciò è lungimirante che Giorgia Meloni dedichi ore del suo tempo, nel corso del G20 di Bali sui cambiamenti climatici, per incontrare e discutere con Joe Biden e Xi Jinping, i presidenti delle due superpotenze.
Ma siamo anche al centro del Mediterraneo e fondatori di ciò che nel frattempo è diventata l’Unione europea, della quale contribuiamo al bilancio e per la quale rappresentiamo una riconosciuta e amata Nazione per un patrimonio storico, artistico e paesaggistico unico e universale.
Perciò è miope che sull’immigrazione, per inesperienza o per campagna elettorale fuori tempo massimo, il governo abbia provocato o si sia fatto trascinare in una rissa da cortile -il cortile europeo, cioè a casa nostra- con la Francia. Perché, così facendo, agendo come “governo di opposizione” a questa Europa, passiamo dalla parte del torto, pur avendo ragione.
La ragione nel denunciare il disinteresse con cui l’Ue, a differenza dell’Italia, si rifiuta di affrontare un fenomeno doloroso per chi emigra, difficile per chi accoglie e destinato a durare a lungo per tutti.
Tuttavia, non è firmando un documento con Grecia, Malta e Cipro, i primi Paesi accoglienti e sofferenti per le incontrollate migrazioni dall’Africa via mare, che l’Italia potrà far valere al meglio il suo corretto punto di vista.
Certo, non possono esistere la serie A e la serie B fra le 27 Nazioni dell’Ue.
Ma il ruolo dell’Italia si esercita alla testa del campionato in comune, come le celebri foto di Draghi, Macron e Scholz in treno verso l’Ucraina hanno testimoniato in maniera esemplare. Né si può dire che le differenze di Draghi con Scholz fossero irrilevanti, se si pensa alla battaglia che il nostro ex presidente del Consiglio ha ingaggiato per settimane pur di convincere i tedeschi a fissare un tetto al prezzo del gas.
Trattare alla pari, non significa rinunciare alla propria e diversa posizione. Significa capire che le grandi sfide si combattono, e si vincono, insieme. Specie se sono sfide europee, cioè in famiglia: è bastata una telefonata tra Mattarella e Macron per abbassare la febbre tra Roma e Parigi.
Come a Bali e come in treno verso l’Ucraina: ecco la direzione giusta della politica estera italiana fino alla prossima fermata, e oltre.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi