Delle ultime tre legislature, compresa l’attuale, solo il governo di Matteo Renzi è durato più di quello guidato da Giorgia Meloni, che in autunno s’appresta a tagliare il traguardo dei due anni. Un autunno che s’annuncia pieno di insidie sul piano politico, economico e internazionale. Ma al primo Consiglio dei ministri dopo le vacanze, convocato venerdì prossimo, e al contestuale vertice di maggioranza con Matteo Salvini e Antonio Tajani, i leader dei due principali partiti alleati, la presidente del Consiglio giocherà proprio il jolly della stabilità del governo per spegnere le richieste di chiunque, tra Forza Italia e Lega, volesse alzare la posta politica o economica. Dal riconoscimento della cittadinanza italiana per i minori -figli di stranieri- che abbiano frequentato un ampio ciclo scolastico (tema “non prioritario” per la Meloni, che comunque non è la bocciatura forse auspicata dai leghisti) all’impossibilità di ritoccare le pensioni senza tenere nella dovuta considerazione il forte debito pubblico e i vincoli europei ancor più stringenti per far quadrare i conti.
Si prospetta, dunque, un incontro all’insegna del realismo e fondato sul più urgente dei problemi e dei doveri: la legge di bilancio, che ogni polemica fra alleati necessariamente chiude. Perché gli impegni, come il taglio del cuneo fiscale, sono da mantenere e le mirabolanti promesse da dimenticare.
Ma il governo dovrà anche indicare a Ursula von der Leyen il nome del candidato italiano alla Commissione (con ogni probabilità il ministro per gli Affari europei, Raffaele Fitto) e soprattutto strappare un ruolo economico di peso e la già difficile vicepresidenza esecutiva, reclamata pure da francesi e spagnoli.
Ecco che ritorna la carta politica della stabilità di Palazzo Chigi in un’Europa a ciò disabituata, e che dalla Francia alla Germania si presenta, invece, preda di grande incertezza nelle sue improvvisamente fragili istituzioni.
Ma per l’esecutivo-Meloni politica sarà anche la sfida autunnale col centrosinistra in tre regioni -Emilia-Romagna, Liguria e Umbria- e poi il Veneto, che arriva nel 2025.
Qui la Lega non molla sul dopo-Zaia (neppure sulla possibilità che possa essere ancora lui, previa legge in Parlamento, il governatore), mentre Fratelli d’Italia fa valere i suoi consensi per chiedere quella presidenza regionale e Forza Italia lancia il nome di Flavio Tosi.
Ma lo scontro vero non sarà casalingo, bensì con le opposizioni perché, oltre alle competizioni regionali, nella primavera del prossimo anno potrebbe arrivare il referendum contro l’autonomia differenziata (se i tempi della Cassazione e l’ammissibilità della Corte Costituzionale saranno quelli previsti).
Riforme e opposizioni metteranno alla prova la stabilità dell’esecutivo in mesi che, tra guerre in Ucraina e Medio Oriente ed elezioni di novembre negli Stati Uniti, si prospettano con grandi e gravi incognite.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova