Di solito si ammalano il lunedì o il venerdì. Con punte di febbre nei periodi natalizi e quando gioca la Nazionale. Sono puntuali, gli assenteisti nella Pubblica amministrazione. Ma da ieri lo scandalo che fa infuriare i cittadini, e che s’è guadagnato, come al cinema, persino un titolo al demerito -quello di “furbetti del cartellino”-, forse avrà vita un po’ più difficile. Il Consiglio dei ministri ha infatti approvato il decreto che, sulla carta, consente allo Stato di licenziare i dipendenti infedeli entro un mese, previa loro sospensione di quarantotto ore. Questo significa che, in teoria, non dovremmo più venire a sapere, tantomeno vedere, gente assunta per lavorare e poi, invece, strisciare il cartellino di riconoscimento per sé o per altri, vestiti di tutto punto o in mutande, e “andare lontano”, come canta Baglioni. Tanto, si sa, li paghiamo noi, comunque e dovunque andranno.
Ma in epoca di lavoro che non c’è, di giovani che fanno i salti mortali pur d’avere un’attività fosse anche a tempo parziale e determinato, nell’epoca triste di adulti lasciati per strada dalla crisi più grave e soprattutto più lunga di questi anni, il governo tenta di evitare l’indecenza di gente che si fa gli affari suoi alla faccia di tutti noi.
Perché continuare a chiamarli, allora, “furbetti”? In realtà sono truffatori, che non possono restare al loro posto, se colti in flagranza dalla telecamera o se denunciati dai colleghi oltretutto costretti a lavorare anche per loro. Ora rischieranno l’addio pure i dirigenti che dovessero coprire l’assenteista o girarsi dall’altra parte.
Dunque, linea dura verso un fenomeno insopportabile: gente che non lavora potendolo e dovendolo fare, a fronte di chi il lavoro se lo sogna. Ma quale sarà l’effetto pratico? E’ facile immaginarlo: l’approfittatore seriale oppure occasionale ricorrerà alla magistratura per far valere il torto delle sue ragioni. E i giudici, navigando nella giungla di cavilli, di gradi, di infausti precedenti e dell’inamovibilità sancita a principio, saranno spesso tentati o dovranno rimettere il licenziato dove non merita più di restare. Troppi e recenti casi inducono al pessimismo.
Ma adesso la svolta politica c’è stata. E perciò l’interpretazione delle norme da parte dei magistrati dovrebbe andare nel senso di punire, non già di perdonare, una così grave offesa al bene comune. Perché la volontà degli italiani è chiara: basta con lo scandalo. La legge si adegui al cambiamento e non ci faccia tornare indietro.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi