Ma è poi così assurdo che Svp e Fratelli d’Italia si preparino -elettori permettendo- a governare insieme la Provincia nell’autunno che verrà?
In verità, l’inimmaginabile è già accaduto con l’elezione di Alessandro Urzì, deputato e da anni rappresentante della destra italiana in Alto Adige, alla presidenza della Commissione dei 6 grazie alla benevola astensione dei due parlamentari del partito di raccolta di lingua tedesca.
Per dare l’idea del ribaltone, bisogna fare un lungo salto all’indietro e ai progenitori dei rispettivi partiti. Sarebbe stato possibile vedere Andrea Mitolo o il fratello Pietro, leader storici del Msi altoatesino, al vertice della stessa Commissione grazie alla bonaria astensione del partito di Magnago e Benedikter, l’uno capo indiscusso della Svp, l’altro il dottor sottile dell’autonomia? Mai e poi mai.
Si dirà: sono passati cinquant’anni più uno dall’entrata in vigore del “pacchetto” e il tempo, oltre che le sensibilità delle epoche e il mutevole pensare delle persone e dei partiti (“solo i paracarri non cambiano mai idea”, diceva il Maestro, Indro Montanelli), rendono possibile l’impensabile.
I fratelli Mitolo e Magnago-Benedikter vissero gli anni dell’irriducibile contrapposizione, Urzì e Kompatscher-Achammer vivono nel presente di un dialogo non più tra sordi.
Ma il primo disgelo fra gli opposti della politica italo-tedesca s’era già consumato nell’era Durnwalder-Holzmann, e il secondo cognome non inganni: Giorgio Holzmann è stato a sua volta leader italiano della destra altoatesina e componente della stessa Commissione di cui adesso Urzì è presidente.
In realtà, la destra post-missina aveva già fatto qualche passo in avanti, e la “nuova” Svp di Durni, come veniva chiamato con empatia, non arretrava più alla sola, orripilante idea di interloquire col “nemico storico”.
Ma questa ulteriore novità di un Urzì “sdoganato” -ché questo è successo- dalla Svp, può aprire due prospettive molto diverse.
La prima e più facile da concepire è quella del solito compromesso in nome del potere, a cui la politica di ogni colore ci ha abituati. E’ il rischio paventato dall’opposizione di sinistra, che ha parlato di accordi “da basso impero”.
Se così fosse, il cinico “do ut des” premierebbe le parti e i loro elettori. Ma non inciderebbe nel profondo sul futuro dell’Alto Adige a beneficio di tutti.
Tuttavia, l’esempio nazionale insegna che grandi cambiamenti possano arrivare quando meno te li aspetti, e incoraggiare svolte importanti.
Chi avrebbe mai scommesso che un leader proveniente dal vecchio Pci, Massimo D’Alema, sarebbe finito a Palazzo Chigi nel 1998? E che un altro esponente già comunista, Giorgio Napolitano, sarebbe stato eletto e rieletto, presidente della Repubblica nel 2006 e nel 2013? Dalla bandiera rossa a quella verde, bianca e rossa. Fra gli applausi generali, anche nel centrodestra. D’Alema e Napolitano, due uomini preceduti dalla prima donna alla presidenza della Camera e militante nell’ancora Pci, Nilde Iotti, eletta e rieletta dal 1979 al 1992: il più lungo incarico nella storia di Montecitorio.
Chi avrebbe poi previsto, sul versante opposto, che “io sono Giorgia”, la giovane rappresentate di una destra a sua volta figlia di An e nipote del vecchio Msi, sarebbe diventata presidente del Consiglio nel 2022? Addirittura dopo l’insostituibile Mario Draghi, che era ed è il nostro Maradona in Italia e nel mondo. Approdata a Palazzo Chigi, Giorgia Meloni, e Ignazio La Russa alla seconda carica dello Stato, cioè la presidenza del Senato, dopo che in precedenza la destra di Gianfranco Fini aveva governato per otto mesi nel 1994 ancora come Msi (il partito si sarebbe trasformato a Fiuggi nel ‘95), poi nel 2001 per cinque anni e nel 2008 per altri tre.
D’Alema e Giorgia Meloni, Nilde Iotti e La Russa, Napolitano e Fini e chi verrà dopo di loro testimoniano che anche partendo da posizioni in apparenza inconciliabili (il celebre “fattore K” che escludeva i comunisti dal governo e l’arco costituzionale che escludeva i missini), possano uscire ed evolvere persone e soluzioni che non subito, ma alla lunga finiranno per irrobustire lo spirito della Repubblica. Che è la casa di tutti sotto il tetto della Costituzione, l’intoccabile patrimonio comune.
Una casa che è stata rinvigorita coi referendum elettorali vinti da Mario Segni, e che hanno dato il “diretto diritto” di parola ai cittadini, e poi rinnovata con la “discesa in campo” di Silvio Berlusconi, precursore di un bipolarismo dal quale non si è più tornati indietro, com’è stato ricordato in questi giorni di riflessioni sullo scomparso fondatore del centrodestra.
E allora, se la sorpresa Urzì-Kompatscher-Achammer rappresentasse per gli uni l’opportunità per “acquisire” l’Autonomia, e per gli altri l’occasione per constatare che l’ideologia etnica ha gli anni contati, ecco che la cinica operazione da molti sospettata, potrebbe diventare un atto di liberazione per tutti. Anche per le attuali opposizioni, a Roma e a Bolzano, in pista per il loro turno di governo -se gli elettori ciò decreteranno- con una Svp che prima o poi dovrà pur affrancarsi dallo spettro etnico che ancora s’aggira per l’Alto Adige e la pervade nell’anno europeo 2023.
Urzì presidente dei 6 con il beneplacito della Svp: è cambiato il mondo.
Ora si vedrà se i lavori di reciproca “conoscenza” in corso, saranno finalizzati alle poltrone in Provincia oppure a un’idea diversa e fraterna di interpretare la convivenza e amministrare l’autonomia.
Perché, comunque sia, verrà il tempo in cui tutti apprezzeranno la ricchezza e la bellezza non solo linguistica dello stare insieme in questa terra, e i fantasmi saranno sepolti per sempre.
Pubblicato sul quotidiano Alto Adige