Molti, nell’ambiente politico, se l’aspettavano. Con previdenza lo stesso Grillo aveva cambiato il codice di comportamento dei Cinque Stelle sulla materia. Ma l’avviso di garanzia a Virginia Raggi, sindaco di Roma, per falso e abuso d’ufficio, chiude la prima e più rivoluzionaria ondata del movimento che, in nome di un valore spesso tradito dal Palazzo -il valore dell’onestà- aveva suonato la carica dell’indignazione provata da tanti italiani. Senza però troppe distinzioni tra l’apertura di un’indagine a carico di chi ricopre un ruolo pubblico e una sua condanna. Senza troppe differenze neppure sulla varietà e sul peso degli atti, quasi che una multa per eccesso di velocità potesse essere equiparata a sanzioni o colpe penali e politiche ben più gravi. Se è vero che anche la moglie di Cesare deve apparire, e non solo essere, di un rigore esemplare, in una società complessa, coniugata con una burocrazia inefficiente e cavillosa come la nostra, su alcune scelte di chi governa è opportuno attendere il verdetto della magistratura prima di dare patenti di moralità. “Sono serena e pronta a dare chiarimenti”, ha commentato la Raggi, indagata nell’ambito dell’inchiesta relativa alla nomina, successivamente revocata, al vertice del Dipartimento turismo del Comune, di Renato Marra, fratello di Raffaele, ex capo del personale poi arrestato. “Ha avuto un avviso di garanzia? Ok, auguriamoci che sia innocente, per lei, per Roma, per chi crede nella politica”, ha detto Renzi, buttando acqua sul fuoco delle polemiche già accese, anche nel suo Pd, per i “due pesi e due misure” e il “garantismo a corrente alternata” di cui il deputato Speranza accusa i grillini. Ma la questione morale dovrebbe essere avvertita come un pre-requisito per chi fa politica, anziché trasformata in una clava da usare, a seconda dei tempi e delle circostanze, contro gli avversari di turno. Accadeva ai pentastellati quando navigavano all’opposizione, in particolare nell’epoca piazzaiola e pazzaiola, dei “vaffa” e dell’”onestà-onestà” gridata ai quattro venti. Ma il principio non negoziabile della rettitudine è tutelato dalla Costituzione, che assicura a tutti i cittadini la presunzione d’innocenza, salvo prova contraria. Non la penosa invocazione di garantismo, che spesso copre solo le porcherie, ma il diritto civile e pulito a essere giudicati sempre con severità e serenità.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi