La piattaforma Rousseau ha deciso, ma il suo verdetto “non avrà alcuna ripercussione sul governo”, s’è affrettato a rassicurare Luigi Di Maio. Tuttavia, la questione politica è un po’ più complicata, dopo che gli iscritti al braccio telematico dei Cinquestelle -moderno oracolo in tutte le scelte importanti del movimento-, hanno decretato a grande maggioranza che in Emilia-Romagna e in Calabria dovranno essere presentate liste e candidati. Non esattamente quel che volevano i vertici, orientati a una sorta di desistenza per evitare il rischio di contarsi e di mettere a repentaglio -appunto- le sorti dell’esecutivo.
Invece la base ha sconfessato la linea tentennante di Di Maio. Al punto che Nicola Zingaretti, leader del Pd e alleato principale, ora invita a rispettare “il travaglio dei Cinquestelle”. Un travaglio che, a differenza dell’intesa fatta in fretta e in furia col Pd in Umbria e severamente bocciata dagli elettori, stavolta indurrà il partito di Beppe Grillo (mai così invocato per affrontare il caos interno), a presentarsi da solo. Ma la solitudine non va certo a beneficio dell’alleato, cioè dei candidati governatori del Pd, gli unici a poter realisticamente contendere agli antagonisti della Lega e del centrodestra la guida delle regioni.
Il pasticcio stellare è frutto dei molti equivoci finora accumulati.
Il primo riguarda la figura di Di Maio, che non ha risolto il tema del “doppio incarico” (come veniva definito e contrastato nella più saggia prima Repubblica), cioè l’essere a un tempo il numero uno nel movimento e nel governo. Errore: Partito e Istituzione sono cose molto diverse. Tenerle insieme genera malcontento e confusione.
Il secondo fraintendimento riguarda la natura e il ruolo di un movimento sorto per andare “al di là della destra e della sinistra”, e che invece s’è trovato a governare sia con l’una che con l’altra. Passando, inoltre, con disinvoltura e in poche ore dalla Lega al Pd.
Ma se la spinta propulsiva dei Cinquestelle s’è affievolita -a giudicare dai verdetti ben più importanti delle elezioni che si sono succedute dopo le politiche del 2018-, è perché anche una parte dell’elettorato d’opinione pentastellata non considera positiva, dal Campidoglio a Palazzo Chigi, le prove di governo dimostrate nel concreto operare.
Il passaggio dalla piazza al Palazzo e dalla protesta alla proposta, ecco da dove nasce la fragilità. Quel “travaglio” oggi sotto gli occhi di tutti.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi