C’è sempre un vicino di casa che cerca di rovinare le feste di compleanno. Ora che l’Alto Adige si appresta a spegnere, il prossimo 4 novembre, la candelina dei suoi primi cent’anni di vita italiana, il governo di Vienna ripropone l’“atto ostile”, come l’ha già definito la Farnesina: la cittadinanza austriaca per i cittadini italiani che risiedono nella provincia di Bolzano. Ma solo quelli di lingua tedesca e, regalo della Casa, ladina, per non dare nell’occhio di un revanscismo pericoloso e a scoppio ritardato (di un secolo).
Secondo la stampa austriaca, è pronta la bozza per consentire ai prescelti di aggiungere non solo il passaporto biancorosso a quello tricolore, ma pure la facoltà di votare per il Nationalrat, il Parlamento viennese. Quasi fossero austriaci perseguitati in esilio, anziché felici e benestanti cittadini italiani ai quali è stata accordata la tutela giuridica e linguistica più solida del mondo.
Hanno già fatto i conti -rivela la Tiroler Tageszeitung-, sul costo dell’operazione. Con 660 euro gli interessati avranno il “Reisepass”.
E qui c’è il primo obbrobrio giuridico perché, a parte forse per qualche ultracentenario in vita, per tutti gli altri non della “restituzione” di un diritto già posseduto si tratterebbe, bensì dell’invenzione a tavolino di un diritto mai avuto, inutile e improprio.
Ma, siccome il 21 ottobre in Alto Adige si vota per il Consiglio provinciale, la presentazione del disegno di legge austriaco che dovrà modificare ben quattro leggi e innovare rispetto alla propria Costituzione, potrebbe slittare a fine anno. Guai a infuocare una campagna elettorale che a Bolzano si preannuncia incandescente, dopo il deposito nel Parlamento, stavolta, italiano di disegni di legge da parte della Svp per ottenere l’“autonomia integrale”, cioè il distacco totale da Roma. Sul quale il passaporto austriaco cadrebbe come cacio sui maccheroni, o meglio, sui canederli.
Sperando nella sindrome di Stoccolma, il governo austriaco, che ha preso per buona l’iniziativa ideologica dei movimenti radicali e secessionisti in Alto Adige, i quali, va detto, hanno però rispolverato con più fiato alle trombe una vecchia richiesta firmata dalla Svp e dai suoi maggiori esponenti (a cominciare dall’ex governatore Luis Durnwalder), conta sull’accondiscendenza di Roma, la vittima dell’atto prepotente. “Nulla faremo senza un’intesa con il governo italiano”, è il mantra dell’esecutivo-Kurz a Vienna. “Doppio passaporto nell’Ue? Un fatto curioso”, lo demolisce col sarcasmo il ministro degli Esteri, Enzo Moavero, mentre Michaela Biancofiore (Forza Italia) e Alessandro Urzì (Fratelli d’Italia-l’Alto Adige nel cuore) sollecitano il governo italiano a reagire con fermezza. E chiedono a Matteo Salvini, teorico del “prima gli italiani”, di chiarire le posizioni ambigue della Lega a Bolzano.
In realtà, l’Austria non ha alcun titolo “legittimo” per intervenire in Alto Adige, che non è territorio in condominio, ma terra della sovrana Repubblica italiana (e prima del Regno) da cent’anni.
La fonte all’origine della chiarezza è il Trattato di Saint-Germain del 1919, di cui la diplomazia farebbe bene a rileggere le clausole definitive. Poi c’è, ad abundantiam, l’Accordo De Gasperi-Gruber del 1946, l’unico che consenta alla co-firmataria Austria di far valere il proprio punto di vista alla Corte dell’Aja. Ma solo in caso di violazione dell’accordo medesimo. Nel quale, com’è ovvio, non c’è alcun riferimento alla cittadinanza, radice di sovranità per uno Stato. Quell’“accordo fra gentiluomini” si limita a prescrivere poche e importanti indicazioni per tutelare “gli abitanti di lingua tedesca della provincia di Bolzano e quelli dei vicini comuni bilingui della provincia di Trento”. Cioè in Italia. Infine c’è la conferma, inequivocabile, della quietanza liberatoria del 1992, che Vienna ha firmato dichiarando di “considerare chiusa la controversia” che, per strumentali ragioni politiche, il suo governo aveva portato alle Nazioni Unite sull’interpretazione dell’applicazione dell’Accordo De Gasperi-Gruber.
Fine delle trasmissioni. Se i trattati, a dispetto di una certa storiografia tedesca, non sono soltanto un pezzo di carta.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma