Prima o poi faremo bene ad aggiornare la scritta che campeggia nelle aule giudiziarie della Repubblica e che, più realisticamente, potrebbe presto diventare “la giustizia è lenta per tutti”. O meglio, lenta per quasi tutti, perché quando c’è di mezzo la politica, la magistratura ha come un sussulto dal letargo amministrativo che sull’affannoso tema ci relega a Paese-tartaruga d’Europa (solo Cipro fa peggio di noi). E, spesso, decide in un baleno. Così è appena successo a Genova, dove il tribunale ha annullato la delibera con cui Marika Cassimatis era stata esclusa dai Cinque Stelle come aspirante alla poltrona di sindaco, secondo l’esito delle cosiddette comunarie che Beppe Grillo aveva invece cancellato. “Ma non sarà lei la nostra candidata a Genova”, torna a dire il capo del movimento in questo ping-pong tra politica e giustizia. Con il paradosso, a prescindere dal merito del caso, che alla fine sono le toghe a indicare i nomi delle liste, prerogativa che pur spetterebbe ai partiti. Ma le forze politiche, si sa, sono litigiose e combinano pasticci. Chi si sente ingiustamente depennato avendo ricevuto l’investitura da cittadini, chiede l’intervento dell’arbitro. E il partito si trasforma in partita con cartellini rossi esibiti o invalidati.
Altra città e altra storia che testimoniano la commistione fra due poteri che dovrebbero essere indipendenti l’uno dall’altro, ma che fanno di tutto per insidiarsi. Nell’inchiesta Consip, che vede tirato in ballo Tiziano Renzi, padre dell’ex presidente del Consiglio, Matteo, un ufficiale dei carabinieri è indagato per aver falsificato dichiarazioni su Tiziano Renzi. Nel senso che non sarebbe stato l’imprenditore Romeo a parlare di un incontro con il padre di Matteo, ma l’ex parlamentare Bocchino. Il quale, inoltre, adesso aggiunge che, dicendo Renzi, si riferiva non al papà, ma al figlio.
Fra Roma e Genova ce n’è quanto basta per cogliere i rischi delle invasioni di campo. Spesso determinate dalla stessa e inconcludente politica, che non esercita il proprio ruolo, e perciò lascia alle toghe il compito, e talvolta l’obbligo, di supplire alle sue gravi inadempienze. Se siamo diventati un Paese Tar-dipendente, dove la magistratura è considerata una sorta di pronto soccorso quotidiano, è perché l’ordinamento, che è frutto esclusivo del potere legislativo, lascia varchi grandi come praterie. Leggi oscure, farraginose, sempre “interpretabili”: le acrobazie dei cavilli, ed ecco che arrivano i giudici.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi