Un’altra guerra, stavolta nel cuore del Medio Oriente, scatenata da Hamas contro Israele, e due volte vile: perché i razzi lanciati a migliaia dalla Striscia di Gaza e le incursioni terrestri dei terroristi hanno approfittato dello Shabbat, la festa settimanale del riposo che di fatto attenua la sorveglianza del vigile Stato ebraico. E poi perché l’attacco militare non ha risparmiato i civili, una cinquantina dei quali sono stati fatti ostaggio.
“Siamo in guerra”, annuncia il primo ministro Benjamin Netanyahu, incredulo, come i suoi cittadini e il mondo che osservano, per l’offensiva a sorpresa che ha già provocato almeno 200 morti e più di 1.600 feriti. E che avviene, non per caso se quest’attacco è stato pianificato nel dettaglio come tutto lascia pensare, nel cinquantesimo anniversario della guerra dello Yom Kippur, il conflitto che dal 6 ottobre 1973 Egitto e Siria aprirono, anche allora a sorpresa, contro il mai accettato Stato di Israele.
Questo è il punto di allora e di oggi, se non si ritroverà la faticosa via della pace da tempo perseguita. Ma che stavolta ha una storica prospettiva di riuscita fra l’Arabia Saudita e Israele, pronti a normalizzare i loro rapporti seguendo l’esempio dell’Egitto, che nel 1979 riconosceva lo Stato ebraico e poneva fine a un’inimicizia che pareva inestirpabile. Lo stesso avrebbe fatto la Giordania nel 1994. Ora il negoziato di pace sempre più vicina con Mohammad bin Salman e il suo Regno. Un negoziato che di recente aveva fatto infuriare il regime iraniano: “Pugnalata alle spalle dei palestinesi”. Quel regime ora elogia, addirittura, l’attacco di Hamas, a fronte della dura condanna espressa dal mondo intero, a cominciare dal nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella.
Ecco il contesto e il sospetto sul perché di un’aggressione inaccettabile, e che di sicuro non fa gli interessi dei palestinesi: far fallire l’imminente svolta storica in una delle aree più tese del pianeta.
Ma la reazione di Tel Aviv sarà implacabile a tutela non solo della propria popolazione aggredita, ma soprattutto del suo stesso diritto all’esistenza.
Paradossalmente, l’assalto di Hamas, movimento politico e paramilitare di ispirazione islamista che controlla la Striscia di Gaza (ha vinto le elezioni nel pur lontano 2006), quindi popolare fra i palestinesi, ma non certo rappresentativo di tutti loro né, tantomeno con la violenza, delle loro istanze, rafforza proprio la necessità dell’intesa finalmente possibile fra Israele e Arabia Saudita.
Che poi questo confligga con la politica del repressivo regime iraniano, che oltre ad applaudire l’attacco terroristico calpesta i più elementari diritti delle donne e di libertà dei suoi cittadini, è un ulteriore incoraggiamento per opporre al torto delle armi la forza invincibile della pace. La più estesa possibile in tutta l’area da troppo tempo sconvolta.
Ma intanto siamo tutti israeliani.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi