Abbiamo l’Europa in casa, e domani e domenica siamo chiamati a decidere come vogliamo abitarla, arredarla e aprirne le porte al mondo.
Sarà la decima volta, dalla prima nel 1979, che andremo a votare per l’Europarlamento, l’istituzione più democratica -perché l’unica eletta da 359 milioni di cittadini-, fra le molte che nell’insieme decidono non il nostro lontano e inafferrabile futuro, ma già il concreto presente.
Se agli esordi le sedi di Strasburgo e di Bruxelles somigliavano a una ricca, ma ininfluente casa di riposo per politici fuori corso, da tempo lassù si fanno le scelte strategiche, e se ne approvano le misure conseguenti, per stabilire come, dove e quando far crescere l’economia. Perfino la tutela del “made in Italy”, il nostro valore unico al mondo, dipende molto meno dall’Italy e molto più dall’Europa distratta.
La legislazione europea pervade e prevale su quella nazionale, e sempre l’orienta o l’ispira, a dosi che nemmeno gli europeisti più convinti (o i loro opposti: gli euroscettici più arcigni) immaginano.
Non parliamo poi della sempre più pericolosa guerra di Putin alla frontiera europea dell’Ucraina e della necessaria indipendenza energetica per il continente. O della sfida commerciale da parte della Cina e della scommessa su verde, digitale e resilienza che i 27 Paesi dell’Unione hanno fatto a suon di 2.018 miliardi di euro per recuperare il grave tempo perduto col Covid.
Sono grandi temi, al pari delle migrazioni nel Mediterraneo, che nessuna delle nazioni può più affrontare per i fatti suoi, perché quei fatti ormai appartengono a tutti gli europei, diventati tali in nome della libertà e della giustizia e all’insegna della pace e del benessere. Amando la vita e assicurando il rispetto della persona, cose che provocano l’odio del fanatismo anti-occidentale.
L’Europa è lo specchio di ciò che siamo e di ciò che vogliamo e possiamo diventare. E’ la proiezione dell’Italia, ogni elettore col suo punto di vista. Ma il significato di un voto mai così importante, rischia di non essere percepito con la mossa dell’astensione, cioè dal “facciamoci del male”.
Disertare il voto europeo per disinteresse, indifferenza o protesta vuol dire fare un unico dispetto: a se stessi. Perché l’Europa “francamente se ne infischia” -per parafrasare la più celebre battuta in “Via col vento”-, e continuerà a decidere il destino italiano a prescindere da quanti italiani non saranno andati in cabina.
Certo, in tutte le democrazie l’astensione è un fenomeno crescente, preoccupante e spesso dettato da motivazioni molto serie. Dove non si vota, o si vota come vuole il regime, la rinuncia a esercitare il diritto cardinale della nostra Costituzione (figura nel primo e principale articolo di essa), non fa mai notizia, ovviamente.
Ma qui si contribuisce a decidere chi governerà l’Ue per 5 anni. Che senso ha, restare alla finestra di casa Europa?
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza, Bresciaoggi e Gazzetta di Mantova