Giudicare l’azione di un governo ad appena quindici giorni dal suo insediamento è ingeneroso prima ancora che frettoloso. Eppure, pur sospendendo il doveroso spirito critico con cui bisogna sempre guardare alle attività di Palazzo Chigi, non occorre aspettare altro tempo per constatare quale sia il colore prevalente nell’appena nato esecutivo giallo-verde: più verde che giallo. Come anche i sondaggi confermano, le prime mosse dell’anomala ma già abbastanza amalgamata compagine premiano ben più il vicepresidente Salvini che il suo collega Di Maio. Grazie al tema forte dell’immigrazione e restando finora fedele a quella posizione di fermezza che rivendica e che gli avversari invece contestano con altrettanta fermezza, Salvini è riuscito a salire nel gradimento degli elettori e persino nelle polemiche a lui riservate dai presidenti stranieri: il francese Macron lo ha già preso a bersaglio prediletto. In Italia sono molti quelli che considerano l’inarrestabile Matteo come l’interlocutore più deciso e forse anche più ascoltato dal presidente del Consiglio, Conte. Per paradosso, il peso politico dei Cinque Stelle è così diventato inversamente proporzionale ai suoi consensi, che sono, si sa, il doppio di quelli raccolti dai leghisti. È evidente che nel rapporto con Salvini Di Maio paghi due circostanze: la minore esperienza dei pentastellati, al governo e in Parlamento, in confronto ai più navigati leghisti. E ora il gran pasticcio di Roma con il progetto per il nuovo stadio che rischia di essere bloccato dopo la clamorosa inchiesta giudiziaria con tutta la scia di velenose polemiche che si sta portando dietro. I grillini -e in parte anche i leghisti- si trovano sotto il fuoco incrociato del Pd e di Forza Italia. Soprattutto i pentastellati sono accusati di leggerezza nelle nomine, di incapacità amministrativa nella capitale, di non saper tradurre le promesse in atti concreti che dimostrino l’efficacia di quel “governo del cambiamento” su cui tante parole sono state spese e un lungo contratto è stato firmato. Ecco perché Salvini, che con la sua scelta di chiudere i porti italiani ha scaraventato il problema dell’immigrazione sui tavoli europei, appare come il leader di fatto della coalizione. In grado di dettare l’agenda politica ai suoi alleati, stabilendo lui le priorità del contratto coi Cinque Stelle.
Il decisionista Salvini prevale sul mediatore Di Maio. Per Conte non sarà facile trovare un equilibrio.
Pubblicato su L’Arena di Verona, Il Giornale di Vicenza e Bresciaoggi