E così il “governo del cambiamento” e del “prima gli italiani” ora si trova alle prese con un’offensiva diplomatica molto insidiosa, nonostante essa venga presentata sotto un’innocente e amabile veste europeista. Si tratta della decisione dell’altrettanto “nuovo” e per certi versi affine alla Lega governo di Vienna di voler concedere la cittadinanza austriaca ai cittadini italiani che vivono in Alto Adige. Si sa, il mondo di area tedesca quando fa una scelta, la persegue con ostinazione. E perciò, dopo un’iniziale incertezza per l’altolà della Farnesina, gli austriaci già hanno stabilito di elaborare per il 7 settembre un disegno di legge senza precedenti in Europa: come “inventare” a tavolino una cittadinanza per chi, quella cittadinanza, mai ha posseduto. Dopo un secolo di appartenenza dell’Alto Adige all’Italia nessuno, a parte qualche ultra-centenario, è mai stato “cittadino austriaco”. Oggi sono tutti cittadini italiani di lingua tedesca, ladina o italiana dalla nascita.
La storia non si cancella con furbeschi espedienti. Per quanto desideroso, a parole, di collaborare con Roma, il revanscismo diplomatico di Vienna alimenta una campagna nostalgica e anacronistica. Che poi questo avvenga proprio nel centenario della Vittoria (4 novembre 1918/2018), quando “i resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano disceso con orgogliosa sicurezza”, finisce per dare un tocco di amara comicità al tentativo di resuscitare Cecco Beppe per interposto confine.
In realtà, Vienna si accinge a dar seguito con inspiegabile leggerezza a una provocazione delle frange politiche estremiste e secessioniste di partitini di lingua tedesca a Bolzano. Con la Svp, ossia il movimento più rappresentativo dell’elettorato in lingua tedesca, che fa il pesce in barile, come sempre. Non spinge per il passaporto austriaco, ma neppure lo contesta. S’augura che il piattino venga cucinato con delicatezza fra Vienna e Roma, tutti insieme appassionatamente. Straordinario atto di bontà: convincere la vittima (l’Italia) a prendere le parti di chi sta cuocendo il brodo della pre-secessione. Perché se l’Austria volesse mai provare a rivendicare un territorio che non è più suo da un secolo, e con ripetuti atti internazionali che questo hanno ribadito anche in epoca recente (dall’Accordo De Gasperi-Gruber del 1946 alla “quietanza liberatoria” firmata da Vienna nel 1992), l’Europa risponderebbe con una risata. Ma se l’Austria dicesse che in Alto Adige risiedono due o trecentomila austriaci, il principio di autodeterminazione, pur applicabile solo ai popoli, mai alle minoranze linguistiche, verrebbe agitato con forza nel cuore (germanico) dell’Europa. La Catalogna insegna.
Fasullo è il riferimento austriaco al presunto precedente di una legge italiana che ha riconosciuto la nostra cittadinanza ai connazionali dell’Istria, Fiume e Dalmazia. Tale legge si riferiva a “soggetti che siano stati cittadini italiani”. Viceversa, a Bolzano e dintorni per nessun cittadino vivente e italiano dalla nascita può valere l’analogo concetto di “soggetti che siano stati cittadini austriaci”. Così come sconcertante appare la discriminazione che si paventa: dare la cittadinanza austriaca solo agli altoatesini di lingua tedesca e ladina, non a quelli di lingua italiana (quasi il trenta per cento della popolazione). E poi: come si farebbe a distinguere i meritevoli dai non degni? Con controlli sul dna? Con esami di pronuncia nella bella lingua di Goethe? Usando i registri -riservatissimi- che rilevano l’identità personale degli altoatesini nei censimenti linguistici ogni dieci anni?
Il “governo del cambiamento” e del “prima gli italiani” non si sottoponga, e ancor meno si sottometta, all’incredibile iniziativa ostile di un Paese amico e alleato. Un’iniziativa priva di qualsiasi fondamento giuridico e molto pericolosa per il futuro, dopo tutto quello che l’Italia ha fatto e fa per il prospero e incantevole Alto Adige. Dove, cent’anni dopo, nessuno è o aspira a diventare straniero in patria.
Pubblicato su Il Messaggero di Roma